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1° maggio 1947, la strage di Portella della Ginestra

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Fu la prima strage dell’Italia Repubblicana, un eccidio di operai senza apparenti motivazioni: caddero in undici, ai quali se ne aggiunsero altri a causa delle gravi ferite riportate. Fu la strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947.

Il primo maggio di settanta anni fa si ritornò a festeggiare la festa dei lavoratori dopo che durante il Ventennio i festeggiamenti furono anticipati al 21 aprile, in occasione del Natale di Roma e della fondazione della Capitale. Quel giorno in Sicilia, a Portella della Ginestra, una località montana di Piana degli Albanesi, alle porte di Palermo, un folto gruppo di duemila operai si ritrovò per festeggiare la recente vittoria di PSI e PCI alle elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana e per protestare contro il latifondismo.

Improvvisamente, intorno alle 10,15, dal monte Pelavet partì una raffica di colpi; una grandinata lunghissima, durata quasi un quarto d’ora e diretta ai manifestanti. Undici persone perirono e ventisette furono i feriti secondo le fonti ufficiali, anche se si parlò di oltre trenta lesi tra uomini, donne e bambini, tutti portati via in cerca di un ospedale con i carretti guidati dai pochi muli sopravvissuti ai colpi. I sospetti andarono subito sui padroni agrari intenzionati a reprimere con il fuoco e nel sangue le lotte contadine, ma la avventata tesi convinse in pochi.

Salvatore Giuliano

Successivamente all’eccidio del 1° maggio vennero prese di mira le sedi del PCI e le Camere del Lavoro di molte città siciliane come Monreale, Carini, Partinico, San Giuseppe Jato e Cinisi e gli attacchi furono rivendicati dagli uomini del bandito Salvatore Giuliano, già “colonnello” dell’E.V.I.S., il Movimento Indipendentista Siciliano, e da tempo latitante nel suo covo di Montelepre. Da lì a poco si scoprì il legame tra la lotta al partito comunista promossa dalla banda di Giuliano e la strage di Portella della Ginestra.

Strage di Stato, eccidio per motivi politici; il processo iniziato nel 1950 a Palermo e concluso del 1953 a Viterbo, lavò via queste ipotesi condannando all’ergastolo gli uomini di Salvatore Giuliano, senza individuare però alcun mandante. Il bandito Giuliano rimase ucciso in un agguato a Castelvetrano il 5 luglio dello stesso 1950 in circostanze mai del tutto chiarite.

Antonio Pagliuso

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