10 giugno 1924, si consuma il delitto Matteotti
3 min di letturaEra il pomeriggio di martedì 10 giugno 1924 quando il deputato Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, veniva rapito a Roma da alcuni esponenti della polizia segreta fascista. Il politico nato nel 1885 a Fratta Polesine, antico abitato del basso Veneto, veniva caricato di forza su un’autovettura, una Lancia Lambda, e in seguito alla violenta colluttazione avvenuta all’interno dell’abitacolo ucciso con alcune pugnalate infertegli al busto.
Nel 1924, in vista delle nuove elezioni, la situazione politica del Regno si presentava tutt’altro che stabile: soltanto l’anno precedente veniva istituita la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (la MVSN), organo che comprendeva molti uomini appartenenti alle squadre fasciste, e allo stesso tempo, mentre proseguivano le repressioni nei confronti dei dissidenti, dei sindacati e dei giornali, il Presidente del Consiglio Benito Mussolini continuava a mantenere all’interno del suo governo esponenti liberali, scelta dettata da bisogni puramente formali. Il risultato delle votazioni del 6 aprile 1924, disciplinate dalla cosiddetta “legge Acerbo” a sistema proporzionale con premio di maggioranza per il vincitore e precedute da momenti di tensione e atti intimidatori nei riguardi degli avversari, fu appannaggio del Partito Nazionale Fascista che si impose con il 64,9% dei voti ottenendo 374 seggi del Parlamento – gli sfidanti del Partito Popolare Italiano e del Partito Socialista Unitario conquistarono appena rispettivamente il 9 e 5,9%.
Il 30 maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti pronunciò alla Camera una durissima requisitoria contro il governo, accusandolo direttamente di essere il responsabile delle intimidazioni che avevano caratterizzato tutto il periodo elettorale. Il discorso del segretario del PSU si concluse con una esplicita richiesta: “Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni”.
Dieci giorni dopo, intorno alle quattro del pomeriggio del 10 giugno 1924, Matteotti fu rapito a Roma da emissari fascisti all’uscita della sua abitazione e ucciso a pugnalate poco dopo; durante lo scontro avvenuto all’interno dell’abitacolo, l’onorevole riuscì a gettare fuori il suo tesserino da parlamentare che fu ritrovato da due contadini presso il Ponte del Risorgimento.
La notizia si diffuse rapidamente ed ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica che si interrogò circa la sicurezza che poteva dare il nuovo governo. La notizia non fu certo gradita anche dai fascisti, messi in forte difficoltà dall’eccellente rapimento.
Le spoglie di Giacomo Matteotti furono rinvenute casualmente soltanto la mattina del 16 agosto, a oltre due mesi dall’assassinio, in una fossa sita in località Quartarella, a una ventina di chilometri dalla Capitale.
Della sua borsa, contenente i documenti con un discorso riguardante lo scandalo finanziario nel quale i fascisti erano coinvolti e che il deputato avrebbe dovuto pronunciare alla Camera quello stesso 10 giugno, invece, non si seppe mai niente.
L’agitato periodo successivo all’omicidio Matteotti fu archiviato da Mussolini con il discorso alla Camera dei Deputati del 3 gennaio 1925 durante il quale, dopo aver inizialmente respinto l’accusa di un suo coinvolgimento diretto nel delitto, il duce ascrisse a sé la colpa di aver favorito l’imperante clima di violenza e ogni responsabilità politica, morale e storica di quanto era avvenuto in Italia negli ultimi tempi.
Antonio Pagliuso