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Il 21 marzo a Locri. Tra presenze ed assenze, tanti interrogativi da cui ripartire

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Fare un bilancio del 21 marzo a Locri, a meno che non prendiamo in considerazione dati puramente numerici o rassegne stampa preconfezionate, è un’analisi complessa, che richiede una conoscenza approfondita dei problemi e delle contraddizioni di questa nostra terra.

21 marzoUna terra che – nonostante negli ultimi anni si siano fatti obiettivamente dei passi avanti nel bene e nel male – resta “cono d’ombra” nell’informazione nazionale, per qualche giorno si è vista al centro dell’attenzione mediatica e dell’opinione pubblica nazionale.
Chi è stato presente il 21 marzo a Locri? Tra i presenti, in primo luogo, merita una particolare attenzione e gratitudine da parte di tutti i calabresi, la Chiesa di Calabria con i suoi vescovi e i suoi sacerdoti. E non è un fatto scontato.
Dopo i fatti di Oppido e dintorni, le ambiguità collegate ai finanziamenti alle feste patronali, tutta una serie di vicende in cui i comportamenti quotidiani di tanti sacerdoti contraddicevano la scomunica di Papa Francesco di Castrovillari, la Chiesa calabrese ha risposto: presente.
E non lo ha fatto solo nella forma istituzionale della presenza dei vescovi. C’erano sacerdoti, religiosi, religiose, animatori di movimenti ecclesiali.
Una Chiesa in cammino che sente su di sé il peso di compiere la prima cosa di cui c’è bisogno nella lotta quotidiana a mafia e mafiosità: la formazione delle coscienze.
A Locri lo Stato era presente. Se in altri contesti si può parlare di passerelle, a Locri no. La presenza del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato e della Presidente della Commissione parlamentare antimafia, oltre l’aspetto simbolico, è il segno di un contatto con le istituzioni di cui la gente di Locri e di tutta la Calabria ha bisogno.
Purché si traduca nella vita quotidiana in un’attenzione concreta, incisiva, da parte del governo nazionale per togliere la Calabria da quel “cono d’ombra” di cui si parlava poco fa: cono d’ombra non solo informativo ma strettamente connesso con la stagnazione economica, la disoccupazione giovanile più alta d’Italia, l’emigrazione della generazioni nate negli anni ’90.
Ma a Locri c’erano anche le assenze. E, se ci è consentito, un’assenza generale: quella di una discussione chiara, anche aspra, per guardarci allo specchio come calabresi e interrogarci su cosa fare per concretizzare lo spirito del 21 marzo, per non far sì che resti una passerella.
Non ha discusso la politica, i partiti, su un passaggio fondamentale delle parole del discorso finale di Don Luigi Ciotti, quando ha chiesto alle forze politche di “selezionare” e non aspettare che arrivi la magistratura a fare da mannaia a separare il grano dalla zizzania.
E’ mancata, ahinoi, una seria riflessione, anche con conseguenti “tagli chirurgici” se necessari, sull’universo dell’associazionismo antimafia. Va tutto bene nel mondo dell’antimafia calabrese?
Quanto sono coerenti i valori degli statuti depositati con i comportamenti attuati da chi sta a capo delle associazioni, a cominciare dalla trasparenza nella gestione dei fondi, dalle relazioni con il contesto sociale, dal confine reso sempre più impercettibile tra promozione socio-culturale ed attività commerciale?
Così come sono mancati i segnali forti da parte delle istituzioni. Uno fra tutti. La Commissione antimafia sta procedendo al sequestro   degli elenchi degli iscritti alle logge massoniche di Calabria e Sicilia dal 1990 ad oggi.
Perchè non lanciare un messaggio forte alla Calabria da parte di tutti i rappresentanti istituzionali calabresi, dai consiglieri agli assessori comunali, dai consiglieri regionali al presidente della Regione e alla sua giunta, ai sindaci, dichiarando subito la loro eventuale appartenenza o non appartenenza a una di queste logge?
L’etica pubblica è fatta anche di simboli, di messaggi chiari.
E’ da queste assenze, che possiamo costruttivamente cogliere come sfide e punti interrogativi, che la Calabria riparte dopo il 21 marzo a Locri.

Salvatore D’Elia

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