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40 anni senza Rino Gaetano

4 min di lettura

In anticipo sui tempi, fonte di ispirazione per generazioni


All’alba del due giugno di quarant’anni fa Rino Gaetano moriva per le conseguenze di un incidente stradale: un terribile frontale tra la sua macchina, che aveva invaso la corsia opposta, e un camion sulla via Nomentana a Roma avvenuto nella notte. Aveva solo 31 anni.

A rendere, se possibile, ancora più tragica la vicenda, è il fatto che l’artista calabrese fu respinto da vari ospedali a causa della mancanza di un’adeguata struttura di traumatologia cranica: quando finalmente arrivò al Policlinico Gemelli era tardi.

E sull’assurdità di questa morte prematura è calata anche la nebbia inquietante di una premonizione: dieci anni prima nella “Ballata di Renzo” aveva raccontato una storia identica alla sua, un uomo investito da un auto che muore perché respinto dagli stessi ospedali che poi avrebbero respinto anche lui.

Non è stata facile la breve carriera di Rino Gaetano: quando, dopo essersi trasferito a Roma alla fine degli anni ’60, ha cominciato a muovere i primi passi nel mondo della musica, tutto ruotava attorno al Folkstudio dove è nata la scuola Romana di De Gregori e Venditti.

Già allora era un “maverick”, un solitario anticomformista che all’impegno, alla narrazione non lineare e alle metafore dylaniane preferiva l’ironia, il gusto per l’assurdo e la provocazione, la lettura di Beckett e la frequentazione del teatro di Carmelo Bene, per il quale fu la Volpe nel leggendario “Pinocchio”.

Alla fine anche lui, grazie alla dedizione di discografici illuminati come Michele Mondella, approdò alla IT di Vincenzo Micocci, l’uomo che ha inventato la parola cantautore, e poi alla Rca, all’epoca la Factory della musica italiana: ma, nonostante alcuni grandi successi non è riuscito in vita ad ottenere i riconoscimenti che meritava.

La verità è che Rino Gaetano ha scontato sulla sua pelle il fatto di essere in anticipo sui tempi: non è un caso che sia diventato una delle principali fonti di ispirazione proprio per le generazioni successive alla sua (come per altro lui aveva previsto) e per questo motivo alcuni dei suoi fan più devoti sono musicisti.

Oggi per esempio nessuno mette in discussione il fatto che “Mio fratello è figlio unico” sia uno dei dischi più importanti della musica italiana.

Guardando a quanto in profondità siano entrate nella cultura popolare canzoni come “Il cielo è sempre più blu”, “Nuntereggae più”, “Gianna”, “Mio fratello è figlio unico”, “Berta filava”, “Sfiorivano le viole” sembra persino difficile pensare che Rino Gaetano nella sua breve vita abbia faticato così tanto per farsi conoscere, affrontando i pregiudizi della critica, del pubblico, dei colleghi, dell’ “ambiente” e anche dell’establishment che non vedeva di buon occhio quello strano personaggio che si divertiva a sbeffeggiare tutti, politici compresi, facendo nomi e cognomi e che, anche se praticava il gusto per l’ironia, sapeva raccontare come pochi l’attualità, anche nelle sue pieghe più scure, e soprattutto sapeva trasformare in musica il disagio, la solitudine e l’alienazione.

Lo faceva a modo suo, con un atteggiamento non ideologico ma non per questo non meno dirompente passando dalle filastrocche alla pura intensità.

Il momento che lo ha consegnato alla storia della cultura pop del nostro Paese è la sua partecipazione al festival di Sanremo 1978: si presentò con in testa una tuba che gli aveva regalato Renato Zero, un elegante frac attillato, papillon bianco, maglietta a righe bianche e rosse e scarpe da ginnastica. Sul bavero del frac portava appuntata una colossale quantità di medagliette, che nel corso dell’esibizione consegnò in parte al direttore d’orchestra e in parte lanciò al pubblico. Come se non bastasse aveva in mano un ukulele.

Cantò “Gianna” e, per la prima volta nella storia del Festival, fu pronunciata la parola “sesso”.

All’epoca l’impressione fu di vedere un marziano, per la forza dissacrante di quella performance ispirata più a Carmelo Bene che ai codici della musica.

Quella sera tutta l’Italia scoprì Rino Gaetano: non necessariamente tutti lo capirono. Eppure i tre minuti di quella performance hanno insegnato alla generazioni future il coraggio di sfidare le regole.

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