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Un po’ di letteratura religiosa in Calabria: da Tropea a Stilo

4 min di lettura
Ingresso gratuito domenica 3 febbraio Cattolica di Stilo

La Calabria è proprio una santa Regione

Ho la netta impressione che non poche realtà meridiane siano cellette dello Spirito tra le tante vie di Damasco del Mezzogiorno bruzio: ce lo dimostrano due nostre cittadelle, per le quali ritaglio, appositamente, una terna di poesiole.

Perché proprio tre? Semplice: per rilevare la presenza provvidenziale che si è fermata ben oltre Eboli, ad immagine e somiglianza di un mistero, che è divenuto persino genere letterario, qui, dalle nostre parti. Per l’occasione mi sono preoccupato di elencare i testi, dandone un’interpretazione che li potesse rendere fruibili ai più, dal momento che degli stessi non esiste alcuna sistematizzazione in merito.

 

Vergine de le Vergini Regina

Vergine de le Vergini Regina

che sola eletta fosti al gran disegno

d’esser del vero Dio tetto ben degno

a cui la terra e ’l ciel si spiega e inchina.

 

Vergine di pietà fonte divina,

e di vera salute altero segno;

vergin di noi mortai fermo sostegno,

e a nostre piaghe speme e medicina.

 

Vergine del bel numer la più degna,

che incontro fosti ben parata e desta,

alo sposo con chiara e viva lampa.

 

Ti prego ancor c’habbia macchiata e pregna

l’alma, che d’ogni error pentita resta,

che tu mi scampi dala infernal vampa.

 

Liberissima parafrasi: ‹‹Vergine, Regina delle Vergini, che solo tu fosti eletta per essere dimora degna di Dio Verità, a cui la terra ed il cielo si spiegano e s’inchinano. Vergine, sorgente divina di pietà, segno monumentale di vera salvezza; Vergine, sostegno fermo per tutti noi mortali, nonché speranza e medicina per tutte le nostre piaghe. Vergine, la più degna per il mistero triuno, che andasti incontro bell’e pronta allo sposo con chiaro e vivo ardore.

Ti prego, laddove l’anima mia, pur essendo macchiata del peccato capitale, fosse ancora pregna di ricerca, di poter morire in pentimento, e di scampare alle fiamme dell’Inferno››.

L’autore, per la cronaca, è Giovanni Battista Caivano, su cui non è facile ricostruire la biografia: quanto sappiamo di lui è che fiorì soltanto intorno al 1560 e che da buon figlio di Tropea nutriva per essa un amore straordinario.

 

Signor t’offesi e perciò sono indegno

Signor t’offesi e perciò sono indegno

Ch’entri in questo nefando albergo mio;

ma ben può il verbo tuo, figliol di Dio,

rendermi salvo, se pentito vegno.

 

Lascia l’alto furor, lascia lo sdegno,

né voglio in tutto pormi in cieco oblio,

ché per esser, signor, humile e pio,

morte prendeste su nel duro legno.

 

Deh, non voler che nell’eterno pianto

Vada, tra l’hostinati iniqui e rei,

onde di me Lucifer si dia vanto.

 

Liberissima parafrasi: ‹‹O Signore ti offesi e perciò mi sento indegno, per via delle mie scelleratezze, al pensiero che tu possa avvicinarti per dimorarmi; ma ben può il tuo Verbo, figlio di Dio, salvarmi, se vengo da te pentito. Si mettano da parte l’ira funesta, lo sdegno e qualsivoglia peccato, senza dimenticare ciecamente gli errori commessi, dal momento che nostro Signore, per essere umile e pio, accettò di immolarsi sulla croce per il male di tutti.

Non volere che io vada dritto alla Geenna, luogo d’eterno pianto, tra i malvagi che hanno perseguito con ostinazione il male, dove Lucifero possa vantarsi della mia perdizione››.

Per inciso, questo sonetto mancato, perché monco dell’ultima terzina, è di Benedetto Caivano, vissuto anche lui a Tropea, tra la prima e la seconda metà del secolo XVI, e sul quale le notizie biografiche sono alquanto digiune, fatta eccezione la notiziola di una sua silloge poetica di meno di 150 rime, quasi tutte ancora manoscritte.

 

Orazione di Gesù Cristo

di Tommaso Campanella

Padre, che stai nel ciel, santificato
perché sia il nome tuo, venga oramai
il regno tuo; che in terra sia osservato
il tuo voler, sì come in ciel fatto hai.

E ‘l cibo all’alma ed al corpo pregiato
danne oggi; e ci perdona obblighi e guai,
come noi perdoniamo agli altri ancora.

Né ci tentar; ma d’ogni mal siam fuora.

 

Qualche nota a margine: lo Stilese, in questo Padre nostro volgarizzato, tra l’altro di facilissima comprensione, fa teodicea, sostanzialmente! «Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia››, andava dicendo nel testo lirico Delle radici de’ gran mali del mondo: per queste sue esplicite intenzioni mi piace pensarlo con l’arma della fede, con lo sguardo dritto  a quest’orazione!

Insomma, la Calabria è proprio una santa Regione, legittimata a ragione dalle vette della poesia. Da figli di queste versificazioni dovremmo ridare ritmo alla nostra terra: debetur, è dovuto, cioè! Sursum corda, allora!

Prof. Francesco Polopoli

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