Monsignor Vittorio Moietta, lo “zingaro di Cristo”
11 min di letturaPiemontese, sarà vescovo della diocesi di Nicastro per soli due anni. Di spirito missionario, oggi è da tutti i lametini considerato già santo.
Vittorio Maria Moietta nacque a Brusasco (TO) il 7 aprile 1913 da Francesco e Mary Moietta che ebbero in totale quattro figli. A soli dodici anni decise di diventare sacerdote, tant’è che nel 1925 entrò nel Seminario di Casale Monferrato (AL) dove il 27 giugno 1937 sarà ordinato sacerdote dal vescovo monsignor Giuseppe Angrisani. Dopo una prima esperienza da vice parroco, nel 1941 fu inviato nella parrocchia periferica e operaia a Rolasco (frazione di Casale Monferrato) dove Moietta evangelizzò la popolazione a maggioranza socialista condividendo la loro vita, scendendo anche nelle miniere dove respirò l’amianto, una delle future cause della sua morte precoce.
Nel 1945 Angrisani lo volle Direttore Spirituale del Seminario Maggiore di Casale Monferrato, dove Moietta rimase fino al 1961. Sotto la sua direzione formò circa 80 sacerdoti quali, fra i tanti, il futuro cardinale Severino Poletto, il vescovo Luciano Pacomio e il prete operaio Gino Piccio.
Non dimentico della sua vocazione missionaria, per alcuni dei suoi ex seminaristi poi divenuti sacerdoti fondò nel 1950 il “Gruppo Missionario di Nostra Signora di Crea” a cui affiancò nel 1956 il “Gruppo Missionario Femminile”, i quali si misero a disposizione sia della diocesi di Casale che delle missioni di evangelizzazione promosse dalla “Pro Civitate Christiana” di Assisi in tutt’Italia.
Nel 1960 il vescovo di Casale Angrisani tenne in Vaticano gli Esercizi Spirituali per la Curia Romana durante l’Avvento di quell’anno. Al termine, Papa Giovanni XXIII volle premiare Angrisani chiedendogli se avesse nella sua diocesi qualche presbitero meritevole di essere elevato alla dignità episcopale; Angrisani fece il nome di Moietta. Così il “Papa Buono” destinò Moietta a reggere la diocesi calabrese di Nicastro (oggi Lamezia Terme) dove dal gennaio 1961 era sede vacante per via delle dimissioni del vescovo monsignor Vincenzo Maria Iacono.
Il Lametino negli Anni Cinquanta
Nicastro e il suo comprensorio negli anni Cinquanta soffrivano ancora dei disagi causati dal Secondo Conflitto Mondiale (1940 – 1945), il quale, oltre ai morti, aveva comportato rovina e distruzione economica e sociale. Alto restava il numero dei disoccupati, sopratutto fra il ceto operaio, nonostante la riapertura a pieno regime della produzione dello Zuccherificio a Sant’Eufemia Lamezia (1951) chiuso per la guerra nel 1943, a cui si sommava la penuria di case alla quale si era tentato di dare risposta con il varo di un Piano di costruzione di case popolari (1950). Drammatica era poi la condizione dei contadini, i quali, nonostante i decreti Gullo (1944) e sopratutto la legge Sila (1950) non si videro assegnati porzioni di terreno bastevoli al loro sostentamento, sicché molti furono gli episodi di occupazioni di terreni incolti pubblici e privati con le conseguenti denunce e scontri (1950, 1956,1961). Anche le tradizionali produzioni olivicole e vinicole, sopratutto nella frazione Bella e nella vicina Sambiase cominciavano ad entrare in crisi irreversibile, mentre il giovane comune di Sant’Eufemia (1936), sede di un importante snodo ferroviario, stentava ad emergere come un moderno comune fornitore di servizi avanzati.
Valvola di sfogo restava quindi l’emigrazione, sia verso il nord Italia che negli altri paesi europei o nelle americhe. Nicastro, che nel 1951 contava più di 20 mila abitanti, per la sua posizione baricentrica rivendicava alcuni servizi quali la costruzione di un Nucleo Industriale, di almeno una facoltà della costituenda Università della Calabria, un’uscita della futura autostrada, di un aeroporto.
Per avere tutto ciò, e in generale per contare di più nelle dinamiche politiche regionali, alcuni intellettuali e politici nicastresi dal 1951 ripresero una vecchia idea risalente al 1927 di fondere il comune di Nicastro con i vicini comuni di Sambiase e Sant’Eufemia per creare un unico comune, idea non concretizzata all’epoca per il forte e secolare campanilismo e ad inizio anni Cinquanta ancora troppo velleitaria, sia per il persistere del campanilismo e sia per le oggettive difficoltà di concordare in metodo e attuazione della fusione amministrativa mettendo d’accordo sensibilità politiche fra loro molto diverse presenti nei comuni coinvolti (Nicastro DC, Sambiase centro – sinistra, Sant’Eufemia PCI).
La chiesa nicastrese, infine, nonostante contasse ancora un numero alto di sacerdoti, non riusciva a cogliere il cambiamento radicale che stava avviandosi nella nuova “società dei consumi”, ma anzi sembrava sclerotizzata ai metodi pastorali intransigenti e desueti tipici del lungo episcopato del vescovo monsignor Eugenio Giambro e nonostante la presenza in diocesi di colti e impegnati presbiteri quali furono don Luigino Costanzo e monsignor Francesco Maiolo, la chiesa nicastrese non era dunque riuscita a rivitalizzarsi e a trovare stimoli nuovi neanche con l’immediato successore di Giambro, Vincenzo Maria Iacono, grande intellettuale ma che si sentiva inadeguato nel fare il vescovo.
Moietta, il vescovo missionario
E’ in questa condizione sociale, economica ed ecclesiale disagiata che Moietta giunse a Nicastro. Fu consacrato dal suo vescovo Angrisani a Casale il 19 marzo 1961 nella Cattedrale di Sant’Evasio, con la presenza di una delegazione di Nicastresi, fra clero e autorità civili, capeggiati dal sindaco Arturo Perugini. Entrò solennemente a Nicastro il pomeriggio del 25 aprile 1961, costeggiando il corso Numistrano fra due ali di folla esultanti, poiché la popolazione aveva già avuto informazioni positive sul loro nuovo “vescovo venuto dal nord”.
Durante l’omelia tenuta nel Pontificale celebrato in Cattedrale, oltre alle uniche due Lettere Pastorali da lui scritte nel 1961 e 1962, Moietta tracciò il suo programma da vescovo, dove al vertice dei suoi pensieri v’era la necessità che la diocesi di Nicastro divenisse una diocesi missionaria:“la nostra deve essere una Diocesi missionaria…non una Diocesi che si difende e cerca di rallentare il movimento di scristianizzazione, ma una Diocesi di conquista, che spinge ovunque il sangue della verità, che deposita in ogni cuore il fermento evangelico della vita, specie nei cuori dei piccoli”.
Nei 797 giorni di governo Moietta svecchiò di colpo la prassi pastorale fin a quel momento usata, dando lui l’esempio per primo:“Odio l’ordinaria amministrazione, come svuotamento dello spirito e mancanza di passione e convinzione. Il Vescovo, per me, deve essere un motore che trascina, travolge, segna la strada e il ritmo”. Egli infatti si recò di persona nei quartieri più poveri di Nicastro e nei paesini montani della diocesi, entrando nelle case, e sperimentando in prima persona la miseria materiale, sociale ed umana della popolazione a cui egli regalò immediatamente serenità e speranza dicendo loro all’uscio delle porte: “sono il vostro Vescovo, sono venuto a trovarvi solo perché vi voglio bene!”;”Non vengo a cercare onori e gloria, vengo a cercare i vostri cuori e null’altro voglio se non salvare le vostre anime”.
Moietta, oltre agli ultimi, amò profondamente i bambini, incoraggiando la fondazione del primo nucleo Scout sotto la supervisione del presbitero don Saverio Gatti, prete carismatico verso la gioventù, e pianificando l’organizzazione di colonie marine o in montagna durante l’estate. Constatato che in molte zone periferiche non esisteva un asilo pubblico si prodigò per la creazione di asili parrocchiali dove i bambini potessero giocare, seguire il catechismo, apprendere i rudimenti della lettura, scrittura, far di conto, nutrirsi decentemente:”La luce che la scuola possiede è luce vera, purifica le coscienze umane, irradia il sapere nascosto, svela la verità ai giusti!”.
Particolare sensibilità Moietta la ebbe anche con i non credenti, con cui cercò sempre il dialogo e mai lo scontro (infatti un giorno si recò presso la sede del PCI, allora di fronte il Duomo, dove fu accolto, dopo un iniziale spaesamento, con tutti gli onori). La stampa locale ha testimoniato nei decenni successivi alla scomparsa del presule piemontese diversi episodi di conversione grazie alla figura di Moietta. La disponibilità di ascoltare speranze, ansie e afflizioni dei suoi fedeli in Moietta fu sempre forte, tant’è che l’ Episcopio era sempre aperto, affinchè chiunque potesse parlare con lui. Fu il primo vescovo nella storia a visitare il già allora grande campo Rom cittadino, sito vicino al torrente Piazza (oggi via Cristoforo Colombo), in atteggiamento di fratello che va in cerca sempre degli ultimi, degli emarginati per eccellenza della società.
L’ansia missionaria Moietta volle condividerla non soltanto con il clero, a cui richiese coerenza con la loro vocazione attraverso la frequente preghiera, il decoro della celebrazione liturgica, la formazione permanente nei ritiri spirituali, il rapporto sincero col loro vescovo e con la collaborazione ad accogliere nelle loro parrocchie i missionari della Pro Civitate Christiana che Moietta inviava prima di ogni sua visita pastorale per formare i fedeli del significato che la visita del vescovo comportava per la vita parrocchiale:“Si dovrà lavorare assieme, con passione, con piena fiducia di riuscire appoggiati tutti sulle speranze eterne. Il mondo crede solo alle persone decise e sincere: vuole che l’ideale professato, divenga un incendio capace di bruciare l’egoismo e la ricerca di se”;”Dobbiamo creare una diocesi percorsa dal fremito della evangelizzazione del fratello lontano”;”il sacerdote non deve essere un paternalista, ma un padre che deve sapere dare ai figli amore senza limiti ed esempi immacolati”, ma anche ai laici raccolti nella Azione Cattolica diocesana richiese un fattivo attivismo per essere di aiuto e supporto all’opera catechetica dei sacerdoti:“L’Azione Cattolica passa in Diocesi un momento particolarmente felice: c’è in tutti i rami un risveglio, un desiderio di apostolato, una passione di conquista, un’ attaccamento al Vescovo, che commuovono”.
Moietta accentuò questo carattere missionario del suo episcopato organizzando la peregrinatio Mariae della veneratissima immagine della Madonna di Visora per tutta la diocesi, che elevò con decreto nel 1962 a co patrona assieme ai Santi Pietro e Paolo. Nonostante la peregrinatio Mariae, Moietta comprese però che la fede della diocesi a lui affidata poggiava ancora sulla superstizione, il sentimentalismo e la poca conoscenza del Vangelo, affermando:“Troppe statue nelle nostre chiese, troppi quadri, troppo folklore nelle processioni dei Santi Patroni, tante vuote di spiritualità!.. Queste forme chiassose (di pietà popolare) rivelano già stanchezza e sono meno sentite…Non sosteniamole artificialmente, volgiamo lo sguardo altrove, dove si trova la sorgente della vita cristiana, affinché non succeda di giungere in ritardo”, e facendo una realistica analisi di cosa dovrebbe essere la fede cristiana:“Sento che la fede della nostra popolazione cristiana sta subendo una profonda evoluzione: tutto ciò che era vernice, superstizione; tutto ciò che era abitudine, ignoranza, paura, paternalismo, cadrà. Resterà solo ciò che è fede genuina, ragionata, intelligente”;”Il Cristianesimo è impegno…L’ideale della vita cristiana non è una comoda garanzia per la nostra anima, ma una battaglia, una impostazione totale della nostra vita”.
Moietta dunque parlava già nel 1961-1962 della necessità del cattolicesimo di spogliarsi di troppi elementi liturgici, metodologici e pastorali ormai desueti, retaggio dei secoli passati che ne avevano infiacchito il vigore e la forza di attrazione, sostenendo la necessità non più rinviabile di un aggiornamento di linguaggi, liturgie, metodi di evangelizzazione.
Consequenziale a ciò, comprendendo anche la forza di persuasione e di formazione catechetica dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, in verità ancora pochi diffusi a Nicastro, fondò nel 1961 il primo giornale diocesano, Orizzonti Nicastresi, che oltre ad informare settimanalmente di ciò che accadeva in diocesi, dette spazio di espressione, oltre ai sacerdoti, anche a molti giovani impegnati nello scoutismo e nell’Azione Cattolica, giovani che diverranno negli anni successivi esponenti di primo piano della vita politica e culturale lametina.
Nel 1961 il sindaco di Nicastro Arturo Perugini, conscio del grande amore che Moietta aveva espresso in ogni modo possibile per la sua nuova città di residenza e platealmente ricambiato dai nicastresi, con voto unanime del Consiglio Comunale gli conferì la cittadinanza onoraria.
Nell’ottobre del 1962 Moietta partì per Roma dove avrebbe partecipato al Concilio Ecumenico Vaticano II di cui intuì la portata rivoluzionaria affermando nella omelia della messa di congedo alla diocesi:“Il nostro non è un tempo di ordinaria amministrazione, di egoistiche ed esterne preoccupazioni: è tempo del Concilio Ecumenico, perciò tempo di giovinezza, di fioritura, di impegno apostolico, di rinnovamento nei metodi.”
Moietta, “cofondatore” di Lamezia Terme
Moietta, oltre ad essere un pastore illuminato e missionario, vicino al clero e alla popolazione più debole o lontana dalla fede, fu anche uomo pratico. Guardava con dolore alla emigrazione massiccia alla ricerca di lavoro, sopratutto dei capi famiglia e cercò, compiendo più volte viaggi al nord Italia, di convincere suoi amici industriali di fondare aziende nella piana lametina per poter creare lavoro. Nel frattempo volle formare una gioventù cattolica preparata al governo della cosa pubblica attraverso i centri studi “Il Fuoco” e “G. Toniolo”, gravitanti nella Democrazia Cristiana che, oltre alla formazione cristiana e imprenditoriale, formava gli aderenti per sposare il progetto di legge del sindaco di Nicastro, Arturo Perugini, di creare la città di Lamezia Terme sostenendone attivamente la candidatura al Senato per le elezioni politiche del 1963.
Eletto con migliaia di voti, Perugini, assieme al deputato DC Salvatore Foderaro presentarono il disegno di legge che nel 1968 sancì la nascita della città di Lamezia Terme.
Moietta concordava fermamente col Perugini sul fatto che la creazione di un’unica città nella piana di Sant’Eufemia avrebbe potuto portare benessere e sviluppo industriale, economico e sociale. Purtroppo Moietta non vide la concretizzazione del suo progetto a causa della morte prematura.
Il cancro, la morte e il ricordo postumo
Già nell’agosto 1962 Moietta senti dolori acuti alla schiena, inizio di un calvario di sofferenze che, nonostante due operazioni e la fisioterapia intrapresa presso l’Ospedale milanese Niguarda e in una clinica specializzata sempre nel milanese, non servirono per guarirlo definitivamente dal cancro già in stato metastatico che portava dentro. Anzi, colto ormai da paralisi progressiva del corpo morì alle h 13 del 1 aprile 1963 a Nicastro, come da lui espressamente richiesto. Aveva scritto nel suo Testamento Spirituale:“Era troppo bello correre, lavorare, andare in mezzo ai bimbi… ma corre per Dio chi sa fermarsi quando Dio lo ferma! La morte di Cristo è la mia sola ricchezza”.
Esposto il suo feretro in Cattedrale, per due giorni una folla immensa e commossa, proveniente non solo della diocesi, ma anche dal suo Piemonte e sopratutto formata anche da moltissimi non credenti, sfilarono per salutare un’ ultima volta il vescovo Moietta. Dopo le esequie solenni su corso Numistrano, fu tumulato nella Cattedrale di Nicastro, in un sarcofago di marmo nero accanto la Cappella del SS. Sacramento. Nonostante il passare degli anni, rimane nella diocesi lametina un radicato e commosso ricordo dell’episcopato di Moietta, da molti già considerato un santo. Infatti ogni anno, il 2 aprile, viene celebrata una messa di suffragio nella Cattedrale di Lamezia Terme e nella natia Brusasco ad opera di presbiteri che lo hanno conosciuto e amato. Nel 1988, il presbitero piemontese don Cesare Massa per ricordare i venticinque anni della sua morte scrisse un libro su Moietta, Se la vita è fuoco, edito dalla Piemme, mentre nel 2001 l’allora parroco della Cattedrale di Lamezia Terme, monsignor Antonio Marghella propose l’idea di aprire un processo di canonizzazione in Vaticano per il presule piemontese. Ad oggi però tale proposta è rimasta inapplicata.
A monsignor Vittorio Moietta sono stati intitolati un centro anti usura e una via a Lamezia Terme Nicastro, mentre nel 2018 il giornalista e storico lametino Massimo Iannicelli ha prodotto con testimonianze e documenti inediti un docu-film sulla sua vita dal titolo “Vittorio Moietta: il Vescovo mandato da Dio”.
M. S.