L’igiene è medicina: la storia ai tempi del Coronavirus
3 min di letturaNon sappiamo tantissimo dei pazienti del mondo antico: Svetonio, per esempio, attesta che Cesare «godeva di buona salute anche se negli ultimi tempi fu soggetto a sincopi improvvise», mentre Plutarco insiste sulla sua fragilità, seppur compensata da una forza di volontà straordinaria: «sopportava la fatica con un’energia che sembrava superiore alle sue effettive forze fisiche, dato che era fragile di costituzione: aveva la pelle bianca e delicata; era soggetto a mal di testa e a crisi di epilessia». Studi recenti, limitatamente alle grandi personalità, hanno poi identificato l’esistenza di un’asma atopica in Augusto, la presenza di ulcere sul viso di Tiberio, segni di una precoce vecchiaia in Caligola e manifestazioni di diplegia in Claudio.
Le notizie, comunque, ci lasciano digiuni a riguardo.
Anche le patologie sembrano presentare un certo riserbo di particolari, benché quelle abbiano accompagnato l’uomo a partire dalla sua primissima comparsa sulla Terra. Figuriamoci le pandemie: anche quelle ci sono state, eccome! Una in particolare prende pure il nome di una dinastia imperiale, perché fu responsabile della morte di Lucio Vero, coreggente di Marco Aurelio: una corona, in quell’occasione, saltò fuori per un maledetto virus. Anche allora, Coronavirus, macché!
La peste antonina (161-180), ma ci sta vicino, mi si consenta! Che dire delle febbri!? Anche quelle presenti, ahinoi! Il modo per riconoscerle non si discostava moltissimo dalle pratiche moderne: Ippocrate valutava la temperatura del malato, ponendogli la mano sulla fronte, distinguendo così la febbre lieve («calor dulcis») dalla febbre elevata («calor mordax»).
Sembra che i nostri progenitori usassero contare i battiti per capire se c’era una temperatura piuttosto alta: le indicazioni del polso costituivano sintomi febbrili molto più attendibili del calore cutaneo («venis enim maxime credimus, altera res est, cui credimus, calor») e non è che la cosa sia alquanto peregrina, dicono!
Quanto ai rimedi, tra decotti e pozioni, non mancavano lunghi elenchi d’invocazioni: la dea Febris insieme a Salus, Meditrina, Minerva medica, Apollo medicus, Aesculapius, come a dire, di fronte all’inesorabile: solo il cielo e la santa Provvidenza ci possono, non ci è estraneo, vero!?!
Sulla prevenzione c’è da attendere, invece, la Scuola salernitana con dei precetti tuttora validissimi; lo dimostrano le raccomandazioni mediatiche degli ultimissimi giorni in perfetta linea con essi:
Si fore vis sanus, ablue saepe manus
(Se vuoi star sano, lava spesso le mani)
Mundificat palmas, et lumina reddit acuta
(Alle mani togli l’untume, e degli occhi aguzza il lume)
Attenti, infine, a starnutire a debita distanza e a non essere esploratori dei propri umori; e qui, per chiudere, in volgare, senza esserlo, si esprime l’autore del Galateo, ovvero de’ costumi:
«Non si vuole anco, soffiato che tu ti sarai il naso, aprire il moccichino e guatarvi entro, come se perle o rubini ti dovessero esser discesi dal cielabro, che sono stomachevoli modi et atti a fare, non che altri ci ami, ma che se alcuno ci amasse, si dis[inn]amori» (Giovanni Della Casa).
L’attenzione, quindi, vien fuori dalle pagine di una sana letteratura, con buona pace di tutti i cultori della scienza che, senza sbugiardarla, ne ha fatto finanche un bugiardino.
Intanto, si rimane a casa, lo dicono entrambe, per il momento:
«mane tibi pro me dicet havere liber», recita Marziale nei suoi epigrammi, cioè «la mattina il (mio) libro ti darà il buongiorno a nome mio».
Praticamente il whatsapp quotidiano che ci facciamo ogni santo risveglio: qualche meme di poesia da sempre ci riporta alla compresenza, fortunatamente, da lì ad ora!
D’istanti distinti non si è mai distanti.
Prof. Francesco Polopoli