Coronavirus: la profezia di Pirandello
3 min di letturaPer quanto mi concerne, non so se esista una relazione tra Coronavirus e pipistrelli, non ho i ferri del mestiere a riguardo
«Già con l’epidemia di Sars – afferma il prof. Canio Buonavoglia, docente di Malattie Infettive al Dipartimento di Medicina veterinaria dell’Università di Bari, attraverso la Fnovi (Federazione nazionale ordini veterinari italiani) – si è scientificamente dimostrato che il Coronavirus responsabile aveva fatto il salto di specie proprio dai pipistrelli».
Controvoglia, perché animalista, accolgo questa tesi possibile, in un momento in cui si tirano fuori animali di ogni specie (serpenti e pangolini, ad esempio) più tesi complottiste di ogni risma e di qualunque altro scisma.
È inutile dire, in questa sede, quanto nell’immaginario occidentale questo vampiro notturno sia connotato da un’aura di malignità. Dante Alighieri ne la Comedìa, Canto XXXIV dell’Inferno, descrivendo Lucifero, lo dipinge così: «Sotto ciascuna [spalla] uscivan due grand’ali, quanto si convenia a tanto uccello: vele di mar non vid’io mai cotali.
Non avean penne, ma di vispistrello era lor modo; e quelle svolazzava, sì che tre venti si movean da ello: quindi Cocito tutto s’aggelava».
Non solo. Che dire poi della novella di Pirandello, scritta proprio un secolo fa, e per di più ad esso intitolato, dove «dell’insolentissima bestia» si dice possedere «nelle ali non so che di viscosità». Certo non faceva un belvedere, dobbiamo ammetterlo:
«Un maledetto pipistrello, che ogni sera, in quella stagione di prosa alla nostra Arena Nazionale, o entrava dalle aperture del tetto a padiglione, o si destava a una cert’ora dal nido che doveva aver fatto lassù, tra le imbracature di ferro, le cavicchie e le chiavarde, e si metteva a svolazzar come impazzito non già per l’enorme vaso dell’Arena sulla testa degli spettatori, poiché durante la rappresentazione i lumi nella sala erano spenti, ma là, dove la luce della ribalta, delle bilance e delle quinte, le luci della scena, lo attiravano: sul palcoscenico, proprio in faccia agli attori».
A cento anni da questo testo, tra l’altro drammatizzato, ecco ripresentare sul palcoscenico della vita lo stesso soggetto: giù le maschere della vita, una, nessuna o centomila che siano, qui il relativismo va ridimensionato a difesa della vita.
E qui il Genio di Girgenti, al di là dello strano anniversario, si fa vate e profeta: perché non potrebbe esserlo, invece di stralciare le noiosissime centurie di Nostradamus? È l’umano cui siamo richiamati: forse è anche questo uno dei tanti piani di lettura, che ci è sfuggito di mano!
Prof. Francesco Polopoli