Il coronavirus è una guerra: anzi, peggio!
3 min di letturaUna mina antiuomo con caccia all’untore: ormai la psicosi regna sovrana in ogni angolo di città al punto da far tremare le vene e i polsi, dantescamente parlando
Un inferno, insomma! Il termometro della paura scalda la testa di non pochi a casa, purtroppo! Credo sia un episodio senza precedenti: nel leggere persino una poesiola di Ungaretti, caro a Lamezia, per il sodalizio con il nostro Franco Costabile, mi rendo conto che nulla ci avvicini ai sentimenti intensissimi dei suoi versi. Si prenda “Veglia”, ad esempio, che mi piace ricordare far parte della sezione Il porto sepolto all’interno della raccolta “L’allegria”.
Un’intera nottata / buttato vicino / a un compagno / massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio / con la congestione / delle sue mani / penetrata / nel mio silenzio / ho scritto / lettere piene d’amore / Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita (Libera parafrasi: ho trascorso una nottata intera / sdraiato vicino a un compagno assassinato, / la bocca contratta dalla morte / rivolta lassù verso la luna piena / il gonfiore delle sue mani / tutto ciò penetrava il mio silenzio; / proprio in quel momento ho scritto / lettere piene d’amore. / In nessun’altra circostanza mi sono sentito così attaccato alla vita).
Solo un brevissimo commento, dice tutto Lui, il nostro grande Ermetico! Le parole seguono un ritmo spezzato per comunicarci quanto la sofferenza spacchi. Un corpo distrutto, anche la grammatica! La sintassi del dolore è un groviglio senza capo né coda, eh già! La bellezza del testo sta, tuttavia, nell’umanità di questa frattura: il poeta veglia il compagno e, pur vedendo la morte faccia a faccia, che è violenta, mostruosa, brutale, permanente, resta lì presente. Mi verrebbe da dire che la guerra, che è profondamente disumana, raccolga tanta umanità. Così è per il nostro illustre versificatore. Il coronavirus è decisamente peggiore: distrugge l’uomo nella sua pienezza. E qui la mestizia accompagna le salme bergamasche in fila armata: quella solitudine senza consolazione alcuna stride forte in tutto il Paese. Non solo. Che dire dell’imprenditore padovano suicida, positivo al Covid-19, il cui ultimo biglietto, rivolto a chi avrebbe oltrepassato casa sua, intima di «non entrare perché contaminata». Per questo non mi va di spingermi più oltre: ci bombardano le notizie, e mentre attendiamo il vaccino, pare che ci stiano anestetizzando il nostro cuore.
Da una suggestione condivisa
con la mia cara amica Antonietta Cozza
Prof. Francesco Polopoli