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Sambiase letteraria: il pane della Napoletana

4 min di lettura
Margherita Montefusco della famosa panetteria De Giacomo

Ma chi l’ha detto che la letteratura e l’alta cultura non possano andare a braccetto con la nobile arte dell’impasto e del plasmare gustose pagnotte e grandi lievitate

Non dimentichiamo che una delle più grandi ispiratrici dell’arte del massimo artista di ogni tempo è stata nientemeno che la Fornarina, amata e musa di Raffaello, giusto per un richiamo en passant.

L’atto del fucinare e cucinare in fondo è descritto con un verbo che ben si adatta alla creazione letteraria e cosa c’è più vicino alla creatività di chi sceglie un genere letterario, e per suo tramite i versi e i metri da utilizzare o le figure retoriche da prendere a prestito dal repertorio della nostra tradizione, rispetto al lavoro del panettiere che sceglie il formato della sua opera insieme a tutte quelle decorazioni che servono per arricchirla.

Del resto, l’eloquenza non è stata paragonata da Petronio Arbitro, nell’incipit del Satyricon, ad un’opera diligente della panificazione, quando l’anonimo retore, che si esprime all’inizio del romanzo, mette a confronto gli artifici retorici ai quei semini di sesamo così saporiti, che vengono cosparsi sopra il pane fragrante appena sfornato?

Detto questo, come non rammemorare gli odori della panetteria della Napoletana, ogniqualvolta il gusto dei miei studi coglie all’indietro le più belle delle suggestioni vissute dai De Giacomo?

La Memoria olfattiva e gustativa evoca rimembranze di una persona garbatissima, proprio così! Una donna anziana, eppure così vigorosa, stile nonnini di Heidi, riusciva a dare ad ogni ammasso di lievito, acqua, farina e sale il profumo di una gustosa pagnottella, sottotitolata da un accento di grazia meridiana, prima di essere imbustata e scontrinata al di qua del suo bancone.

Chi dimentica i golosi panini che allietavano l’ingresso scolastico, le pizzette o i rustici che energizzavano le ricreazioni o semplicemente la doratura dei filoni che arricchiva la convivialità del nostro stare insieme!? Chi non ricorda ancora le perle di saggezza partenopea confezionate a puntino ogni nostra mattinata? «Meglio murì sazio ca campà diùno» (meglio morire sazio che vivere digiuno), «‘a capa è ‘na sfoglia ‘e cipolla» (la testa è come una cipolla), «chi vò troppo magnà, s’affòca» (chi vuol mangiare troppo si affoga), «a chi me da ‘o pane, ij o chiamm pat» (a chi mi dà da mangiare, lo rispetto come fosse un padre), «addò magnano duje ponno magnà pure tre» (lì dove c’è cibo sufficiente per due persone, ce ne sarà anche per una terza), «chi magna fa mullica» (chi mangia crea molliche), «‘o Pataterno dà ‘o pane a chi nun ten ‘e rient» (Dio dà il pane a chi non ha i denti): la lista potrebbe farsi più lunga e continuare ad infinitum; insomma, Napoli è arrivato nel cuore di Lamezia, prima ancora che potesse nascere il mito di Maradona, mi sa!

Eccezionale la nostra Margherita Montefusco, di cui è finanche piacevole risovvenire una di quelle nenie, che fatte di rime, segnavano la tua infanzia insegnandoti: «me cocco e m’addormo, / lascio l’anima a Maronna / me cocco e m’addurmisco / lascio l’anima a Gesù Cristo».

Guardarla, poi, era come veder fare i nostri nonni; io ricordo la mia mentre infliggeva alla pasta alcune larghe ferite per lasciare delle frattaglie sul tavolo, che furtivamente appallottolavo per mangiarle di nascosto. Non c’era differenza nel fare tra le due: identiche, ecco perché ci era familiare! Cosa ci resta?

La continuità del suo insegnamento nella famiglia che ne ha prolungato la sua storia di onestà. Non solo. Da lei tutti abbiamo compreso che «pane di sudore ha gran sapore» e che «l’ordine è pane e il disordine è fame».

Margherita Montefusco della famosa panetteria De Giacomo Ancora; che c’è un pane dell’amicizia (per cui rimando a Francesco Petrarca quando di Giovanni Boccaccio diceva «se un pane solo avessi, sarei lieto di dividerlo con te», Seniles XVII, 3) e del perdono (per il quale vale l’episodio manzoniano di Fra Cristoforo) capaci di sfamarci di speranza, e di questi tempi ne abbiamo copioso bisogno, eccome!

A proposito di impegni cristiani, è d’uopo ricordare una devozione familiare visibile agli occhi di tutti per la festa dell’Addolorata: l’offerta del pane lavorato con le forme più disparate va nella direzione di una comunità più solida all’insegna della solidarietà.  Quindi, un catechismo spontaneo, grazia di anime semplici.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano: potremmo concludere così, ringraziando il Pater noster per averla avuta fra di noi.

«Le eredi di cotanta tradizione ben onorano il suo operato, continuando ad intrecciare l’arte di ieri con le innovazioni di oggi, pur preservando l’essenza ed il calore di quella che nelle ricordanze di molti resterà l’antica bottega della bontà» (Giovanna Armaleo).

Tozzi fragranti di vita,

Gloria d’orazione divina.

Grazie anche a loro.

Prof. Francesco Polopoli

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