Manzoni a Lamezia Terme
3 min di letturaMi chiedo quali vocaboli avrebbe potuto usare il nostro autore dei Promessi Sposi per l’epico confronto tra don Abbondio ed il cardinal Borromeo: sicuramente, al di là di chi dice che dall’altra parte dell’Italia, nel profondo Sud, c’è una certa resistenza culturale (Feltri, dicendo), si sarebbe meravigliato di una certa varietà espressiva. Credo, senza tema di smentita, che si sarebbe di gran lunga soffermato sulla nostra varietà lessicale che conta non pochi sinonimi o espressioni di fine e affine significato. Prendiamo il brano manzoniano, per principiare il nostro discorso:
“Don Abbondio stava a capo basso: il suo spirito
si trovava tra quegli argomenti, come un pulcino
negli artigli del falco, che lo tengono sollevato
in una regione sconosciuta, in un’aria che non ha mai respirata.
Vedendo che qualcosa bisognava rispondere,
disse, con una certa sommissione forzata:
– Monsignore illustrissimo, avrò torto. Quando la vita
non si deve contare, non so cosa mi dire.
Ma quando s’ha a che fare con certa gente,
con gente che ha la forza, e che non vuol sentir ragioni,
anche a voler fare il bravo, non saprei cosa ci si potrebbe guadagnare.
È un signore quello,
con cui non si può né vincerla né impattarla…”
In questo dialogo alle non sante ragioni del curato fidato di Renzo e Lucia segue un bel predicozzo dell’alto prelato.
Un cappellaccio, una sgridata, un richiamo, una ramanzina, una paternale, diremmo oggi! Questo quanto fa intendere, apertis verbis, il Milanese!
E noi quali vocaboli gli avremmo suggerito, se solo ci avesse attenzionato? Ecco un breve elenco lessicale con significato di ognuna delle voci evidenziate:
Ripigljiu da ripigliari: termine canzonatorio con accezione propositiva. Con valore intr. (aus. avere), di piante o fiori appassiti, ha il senso di riprendere vigore e freschezza: i geranî hanno ripigliato; in agraria, di piante, riprendere la vegetazione dopo avere attecchito. Nel rifl., riprendersi: ebbe un attimo di smarrimento ma si ripigliò subito; mi ripigliai appena in tempo per non cadere. Ergo, è un approccio costruttivo, al di là dei modi di interfaccia, vis-a-vis!
Priadica: Rimprovero paternalistico per lo più bonario. Un predicozzo, insomma!
Lavat’e capu: equivalente dell’italiano “lavata di testa”- col significato di reprimenda, rabbuffo. Altro che shampata!
Tirata di carti: confronto stringente tra le parti, quasi che si leggessero per iscritto le cose dette nell’accensione degli animi coinvolti.
Lijenda: avvertimento, ammonimento (cci fhici ᾿na lijènda!). Dal latino “legenda”, da cui discende il genere letterario, il sermoncino ammonitivo acquisisce un alone leggendario. E chi se la scorda!?
Cazzijata, cazzijatuni: atto del rimproverare, di cui la seconda forma è un accrescitivo (sgridata, rimprovero alquanto duro). Attenzione a non confondere la cazziata con la cazzata, che invece è un errore, una stupidaggine compiuta.
Lisciabbussu: La parola viene dal gioco del tressette. Per quelli che non lo conoscono spiego che questo è un antichissimo gioco nato nel Regno delle due Sicilie e codificato nel 1700 da un prete napoletano, il famoso Chitarrella. Tra le regole è previsto che ogni giocatore può segnalare al tavolo di avere alcune carte, lisciandole sul tavolo e bussando. Liscio e busso, proprio così! L’espressione è passata successivamente al significato di sgridata (cci fhici nu lisciabbussu chi s’ ᾿u ricorda ppi tutt’a vita!, “gli ho dato una lezione che se la ricodrerà per tutta la vita!). Perché questo slittamento semantico? Semplice: ti avevo avvisato con chiarezza, ti avevo ammonito e avvertito del pericolo come quando si suggerisce col liscio e busso. Tu non hai voluto ascoltare, ti sei comportato malissimo e ti meriti la mia ira, il mio rimprovero… il mio lisciabbusso, per l’appunto!
Che dire!? Nella scelta, a questo punto, avrebbe fatto lui, questo nostro grande Padre della lingua italiana: lui rispetto a Feltri sarebbe stato più LIBERO, decisamente!
Prof. Francesco Polopoli