Qualche antico mestiere: erano tempi in cui pure «‘na strazzatina» faceva incasso
2 min di letturaPremesso che l’arte di arrangiarsi sia una virtù tutta meridiana, come non evidenziare lo spirito di intraprendenza che tante volte è riuscito, persino con pochi mezzi, a far sbarcare il lunario?
Io di mestieri ambulanti ho tuttora la fortuna del ricordo: lo strillone, cioè il banditore Guido Raso, per antonomasia, che con la sua trombettina, tra le vie del paese, faceva le réclame pubblicitarie di tanti nostri prodotti locali; ‘u capillaru, che barattava i capelli delle nostre nonne in cambio di bacinelle e altri recipienti di plastica (non c’era, allora, la Tupperware), probabilmente, per farne toupet.
Qualcuno mi ricorda pure «‘u pezzivicchjaru», ovvero lo «straccivendolo». Chi era costui!? Il venditore che andava in giro a vendere la sua merce e scambiarla con stracci di lana. Quello che si aggirava per le strade di Sambiase era alquanto riconoscibile, perché avvisava le clienti della sua presenza, gridando così a squarciagola: «‘u pezzivicchjaru! Pezz’ ‘i lana vècchja!», «Il cenciaiolo! Pezze di lana vecchia!».
Erano tempi in cui ci si industriava per tirare la carretta e, soprattutto, in cui il riuso era sentito come risorsa cui aggrapparsi per reggere l’economia domestica.
Ecco perché fanno tenerezza tante foto sgualcite del Novecento lametino: sono parecchi ad aver tagliato la fame col proprio coltello, rendendo unito il focolare domestico «puru ccu pani e cipulla».
«Na bella pigna», a pegno ed impegno di sentimenti che hanno attraversato la vita di parecchie generazioni, sicuramente!
Prof. Francesco Polopoli