Lamezia. L’ultimo saluto ad Antonio Saffioti, maestro di vita e paladino dei diritti dei più deboli
4 min di letturaLAMEZIA. Emozioni, ricordi e tanta commozione per l’ultimo saluto ad Antonio Saffioti.
“Carissimi, vorrei innalzare la mia preghiera per Antonio. Un ragazzo che in questa terra ha conosciuto limiti, ostacoli e sofferenze. Eppure è stato capace di volare con le sue battaglie, con la sua forza di vita, con l’amore. Noi preghiamo sapendo che la comunione con i nostri cari non si spezza e il suo esempio sia un monito per continuare. Pensiamo ad Antonio libero, ormai dalla limitazione del corpo, con la sua grandezza di animo e di cuore”. Questo uno stralcio del messaggio che il vescovo diocesano, mons. Giuseppe Schillaci, ha inviato per le esequie di Antonio Saffioti, avvocato, attivista politico, paladino dei diritti dei più deboli.
La cerimonia è stata trasmessa in diretta Youtube sul canale parrocchiale e partecipata solo da un numero ridotto di persone (limitato a familiari e parenti stretti) in ossequio alle misure di sicurezza anti-contagio. Tante le persone che si sono collegate durante la messa così come tantissimi sono stati i lametini che da ieri fino al primo pomeriggio di oggi hanno voluto dare l’ultimo saluto all’amato e stimato Antonio che ha concluso i suoi giorni terreni nella notte del solstizio d’estate. La camera ardente è stata davvero ‘meta di pellegrinaggio’ incessante da parte di parenti e amici. E non solo! A rendere omaggio al caro Antonio è stata tutta la comunità lametina. “Si è laureto, ha scritto libri, è stato sempre attivo. Lui portava la sua esperienza nel mondo, la trasmetteva ai giovani in particolare. Dimostrava con i fatti, nella vita reale di ogni giorno, che la vita è bella e va vissuta. Ciò, nonostante la sua condizione fisica, nonostante le problematiche dovute alla malattia”. Sono alcune riflessioni dell’omelia di don Gianni De Ronchi, parroco di San Giovanni Calabria, che ha officiato le esequie di Antonio.
Trentasette anni vissuti in compagnia della sindrome di Duchenne che lo ha bloccato su una sedia a rotelle ma che certo non gli ha impedito di vivere intensamente la vita, senza sprecarne neanche un minuto. “La vita val la pena viverla in pienezza, anche se si convive con la malattia. Questo è l’esempio che ci lascia Antonio; e pensare che tanti altri hanno tutto, a cominciare dalla salute, ma non sono felici”, ha commentato don Gianni.
A conclusione della messa è voluto intervenire anche il papà di Antonio, Pino Saffioti, che ha raccontato alcuni momenti vissuti col figlio. “Un giorno mi ha detto che la distrofia muscolare doveva essere sua amica. Antonio ha camminato insieme a lei, l’ha imparata a memoria. La sindrome di Duchenne è una malattia progressiva ma lui, questo progredire, l’anticipava con la testa. Si è servito di telefoni e computer per comunicare. Le carrozzine se le sceglieva lui; si sapeva costruire il suo mondo. Ha sofferto nel silenzio, non l’abbiamo mai sentito lamentare. Lui amava parlare ai giovani a cui continuava a dire: al posto della birra tenete un libro in mano, una macchina fotografica, qualcosa che vi faccia capire quanto è bella la vita. Servivano due ore per prepararci per uscire ma lui non si infastidiva, ed era sempre pronto se qualcuno lo invitava in qualche iniziativa. Antonio – ha concluso Pino Saffioti – ci ha insegnato che dobbiamo vivere perché lui amava la vita”.
Sempre a margine della funzione sono intervenuti amici ed esponenti di associazioni di cui Antonio faceva parte; tra questi il giornalista Salvatore D’Elia che ha affermato: “Antonio con la sua vita e il suo impegno ha aperto i nostri occhi. Antonio ci ha fatto capire che l’impegno civile e politico può essere davvero un’alta forma di carità. Ha lottato tutta la vita perché i diritti siano garantiti in quanto tali e non vengano invece considerati concessioni o privilegi. Lo ha fatto gridando la verità nella libertà. Ci ha insegnato il valore del tempo da donare all’altro perché l’impegno per la comunità non ha colori definiti ma è di tutti i colori. Ha insegnato la qualità della vita”.
Lamezia perde solo fisicamente un suo figlio illustre ma, certamente, non ne perde la memoria e la preziosa eredità: un esempio
fulgido di impegno sociale, politico e civile speso senza riserve a favore di chi non può difendersi perchè non ha voce.
Maria Scaramuzzino