Qualche nome di persona nei nostri modi di dire: Enrico e Giovanni…
2 min di lettura«Iu mi chjiamu donn’Arrìcu, a ‘sti fhatti ‘u’ mmi cci ‘ntricu!» («Io mi chiamo don Enrico, in codesti fatti preferisco non mettere becco!»): espressione la cui paternità è attribuita ad un personaggio reale sambiasino e divenuta successivamente proverbiale
Sono soliti proferirla, tra il serio ed il faceto, taluni, per significare che intendono rimanere fuori da certe situazioni che potrebbero comprometterli o arrecar loro qualche fastidio.
L’aprifila, a modello, doveva essere un bel dirittone, a mio modesto parere! Lo stesso non possiamo dire di qualche altro suo compagno.
Partendo dal lessico di Santo Sesto scopro un’interessantissima locuzione, meritoria d’attenzione che è: «truvàri ‘u punt’ ‘i Giùanni!» («Individuare il punto di Giovanni»).
Si usa a proposito d’un ragazzo che, per soddisfare certi suoi bisogni fisiologici, scelga il momento meno adatto, proprio come faceva abitualmente un suo non meglio precisato compaesano.
Contestualmente apprendo che molti bambini d’una volta, sguazzando nell’acqua del mare o nella «gurna» di Caronte, canterellavano, alludendo esplicitamente a qualcheduno della loro zona: «Gianni, Gianni, pàpara Gianni / Gianni, Gianni, pàpara Gianni!»
Altri ancora, invece, mi fanno evidenziare: «Giuàanni Paparagianni, jetta pirita e fha castagni».
Ora, in base al materiale folklorico, raccolto dal Mollica, per la sezione sicula, penso di rintracciarne il senso più intimo del vocabolo. Prendo un frustulo di una quartina insulare, utile alla deduzione argomentativa, che riporto di seguito.
«Puru pi’ tia la vicchiaia vinni
e nuddu chiù disìa li to’ carni;
scarsu ha’ lu culu, caduti li minni
e scarsiceddu lu paparagianni».
Traduzione
«Pure per te la vecchiaia è arrivata
e nessuno più desidera le tue carni;
cadente è il tuo lato B, collassati i tuoi seni,
e scarsetto pure il paparaggianni».
* Paparaggianni (o paperaggianni, letteralmente tradotto): non ha bisogno di spiegazioni, trattandosi di una chiara allusione ai caratteri sessuali secondari femminili. Una persona epitetata con questa scurrilità era tacciata di stupidità: del resto, i genitalia, senza differenza di genere, non sono utilizzati per evidenziare una certa dose d’ottusità!? Qui il sessismo fa pari e patta, meno male!
Quindi, nel concludermi, Enrico era «llu sbertu da situazioni», mentre il suo amico «era ‘nu pocu ciotarròni». Tutto ciò col filo di un sorriso mai dissacrante, ci tengo a sottolinearlo!
Prof. Francesco Polopoli