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‘I nu pilu nd’ha fhàttu ‘nnu sciàrtu

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‘I nu pilu nd’ha fhàttu ‘nnu sciàrtu

«Di un pelo ne ha fatto una fune, una corda»: si dice di coloro che stravolgono e, soprattutto, ingrandiscono esageratamente i fatti per enfatizzare situazioni personali o generali

Se Teofrasto fosse redivivo, nella tassonomia dei tipi umani, adeguandosi all’italum acetum della nostra lametinità, chiamerebbe costoro «illustratori o tragicùsi». Roba da illusionismo o da drammi satireschi, che ci possiamo fare!? In inglese abbiamo, invece, la frase idiomatica «make a mountain out of a molehill» («fare una montagna dal mucchietto di terra della talpa»), equivalente, sul piano semantico, agli italianissimi «fare di un sassolino una montagna» o «fare di una mosca un elefante». Meglio le narrazioni villose, direi di gran lunga più interessanti: eccone una!

«Dognipelo è una fiaba in cui una principessa deve sfuggire a moleste attenzioni paterne. Inizialmente la giovinetta tenta di dissuadere il padre, ponendo una condizione apparentemente impossibile, quella, cioè, di procurarle un vestiario completamente inedito nella storia della moda. I capi che esige sono rispettivamente tre vestiti (uno d’oro come il sole, uno d’argento come la luna e il terzo scintillante come le stelle) più una pelliccia -patchwork, composta dall’assemblaggio di pelli di ogni animale presente nel regno. Il genitore incestuoso riesce a procurarle (in barba a precetti morali, dogmi religiosi, comune buon senso) il portentoso corredo, annunciando altresì che le nozze si sarebbero tenute l’indomani stesso. A questo punto la nostra piccola adolescente fa la sola cosa sensata che una ragazza della sua età avrebbe potuto fare: se la dà a gambe levate, non prima però di averci strabiliato, riuscendo a riporre quel suo guardaroba dentro il guscio di una noce che, oltre a fare da mini trolley, all’occorrenza è pure un beauty per i suoi gioielli: un anello ed un fuso d’oro insieme ad un fulgidissimo aspo. Prima di far perdere di sé le tracce, provvede al camuffamento: non solo indossa la pelliccia composta dalla peluria di ogni bestiola ma si strofina mani e faccia con la fuliggine, a tal punto da essere scambiata con una fiera del bosco. Cammina cammina trova riparo nel cavo di un albero e, stremata, vi ci si addormenta. La mattina dopo viene rinvenuta dai latrati dei cani: i cacciatori, accorsi subito, iniziano a nutrire dubbi sulla natura umana di quella creatura, credendola un freak, uno scherzo della natura, una bestia rara. Tuttavia lei non esita a dichiararsi donzelletta smarrita, chiedendo loro asilo: detto fatto viene successivamente collocata all’interno dell’alloggio reale come “spazzacamino”. Una sera, il sovrano organizza un ballo, a cui Dognipelo ottiene di stare a guardare, mentre vi partecipa in tutto l’oro delle sue vesti luccicanti. Il sire se ne innamora all’istante ma, al termine dei balletti, lei fugge, coprendosi di nuovo con il suo travestimento di pellicce e fuliggine. Tornata in cucina, il cuoco la richiama a cuocere la zuppa per il bramoso regnante e Dognipelo ci fa cadere dentro appositamente il suo prezioso anelletto. Interrogati su come ci sia finito dentro, sia lei che il cuciniere dichiarano di non saperlo. Durante un ballo successivo, quella si presenta con una “mise” argentea, ma sgattaiola di nuovo; poco dopo, nel piatto di Sua Maestà, viene ritrovato il fuso, e anche stavolta nessuno sa come ci sia arrivato. La sera del terzo ballo, Dognipelo si presenta con un abito da far tremare le stelle. Il monarca ordina che le danze durino di più: nel contempo riesce ad infilarle al dito un cerchietto di valore, senza che lei minimamente se ne accorga. Tornata ai suoi fornelli, la fanciulla non ha tempo di cambiarsi: ammantata, prepara la pietanza, facendoci cadere dentro l’aspo. Chiamata alla solita interpellanza, il sovrano filarino intravede il gioiellino e il mantello cade a terra, rivelando il vestimento astrale della piccola donna corteggiata. Scoperta la sua identità, non fa che chiederle la mano e da lì convolano a nozze, vivendo felicemente per il resto della loro vita» (libero adattamento da una favolosa pagina del blog di Marco Simonelli).

«Cchiù pilu pe’ tutti», allora: vale anche per questo garbatissimo racconto dei fratelli Grimm! Che dire!? Meglio fare serto di piacevoli racconti, rispetto alle inverosimiglianze che il quotidiano ci fa subire, sicurissimamente!

Prof. Francesco Polopoli

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