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Carnevale in Calabria: le origini della festa tra religiosità e tradizione popolare

3 min di lettura

Carnevale: una festa cristiana che si fonde con le tradizioni popolari, diverse da territorio a territorio

Con molta probabilità il termine deriva dal latino carnem levare, ovvero eliminare la carne, indicando l’ultimo pasto che si teneva il Martedì Grasso in previsione dei periodi di digiuno della Quaresima.

Il termine Carnevale appare per la prima volta nei testi del poeta italiano Matazone da Caligano verso la fine del XIII secolo. I festeggiamenti sono inclusi tra il Giovedì grasso e il Martedì grasso che precede il Mercoledì delle Ceneri e si differenziano per località: sicuramente famosissimi sono il Carnevale di Venezia che non si limita ai pochi giorni già citati e il Carnevale di Viareggio.

Una tipica maschera veneziana

Come quasi tutte le festività cristiane è importante sottolineare come le origini di tali ricorrenze rimarchino riti pagani antichissimi: primi tra tutti le antesterie e i saturnali, durante cui si applicava un momentaneo scioglimento dagli obblighi sociali e soprattutto dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza dei costumi.

Nella religione cristiana, invece, il Carnevale aveva inizio con la Domenica della settuagesima, celebrata 70 giorni prima di Pasqua e terminava il martedì antecedente il Mercoledì delle Ceneri, quindi poiché direttamente collegato alla Pasqua con una cadenza annuale variabile.

In Calabria sono numerose le località che si preparano in largo anticipo per avviare i festeggiamenti relativi al Carnevale, soprattutto nei paesi dediti alla creazione dei carri da far sfilare in questo periodo; si tratta di vere e proprie macchine scenografiche addobbate con un tema stabilito che vengono portate in processione tra le vie principali dei paesi, seguite da cortei in maschera il più delle volte associate al tema del carro stesso.

La maschera di Giangurgolo

La maschera popolare rappresentativa della regione Calabria è Giangiurgolo: un personaggio maschile legato alla commedia dell’arte. Si tratta di uno spavaldo signorotto, molto ingordo, dedito ai sotterfugi pur di riuscire a saziare la propria fame implacabile. Un abile fine dicitore che sfoggia in presenza delle signore un linguaggio ampolloso che procura grosse ilarità in chi lo ascolta, soprattutto se associate al suo goffo aspetto fisico.

La tradizione vuole che si tratti di un personaggio partenopeo introdotto nella nostra regione per ridicolizzare gli spagnoli che vestivano alla sua maniera; Giangiurgolo, infatti, è raffigurato  con una maschera  rossa composta con un naso di cartone, un cappello a forma di cono, un colletto ripiegato alla spagnola, un corpetto a righe rosse e gialle, con calzoni fin sotto il ginocchio coordinati, calze bianche ed il cinturone al quale è appesa una spada.

Un’altra curiosità legata al Carnevale sta nell’uso dei coriandoli, i colorati pezzetti di carta dalle forme geometriche stravaganti che vengono lanciati in aria dai bambini mascherati e dai carri in festa. Il nome coriandolo rimanda all’uso dei confetti, questo perché già in passato e in diverse occasioni si lanciavano i semi di coriandolo ricoperti da glassa come buon auspicio. Si tratterebbe, in pratica, dei precursori dei confetti moderni, sostituiti col tempo dai coriandoli in carta per evitare gli spiacevoli incidenti a cui numerosi malcapitati incorrevano se colpiti in malo modo durante il loro lancio. Anche nelle zone di Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia in passato l’uso dei coriandoli era fortemente legato a quello dei confetti. I bambini che potevano permettersi un travestimento, venivano portati in mostra fra il parentato per offrire confetti e ricevere il cambio qualche monetina.

Felicia Villella

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