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Tra filosofia e sentimento: il nichilismo e i giovani

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Tra filosofia e sentimento

I giovani, anche se non sempre lo sanno, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive ed orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui. Bisogna educare i giovani a essere se stessi, assolutamente se stessi.

Questa è la forza d’animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la propria ombra. Di forza d’animo hanno bisogno i giovani soprattutto oggi perché non sono più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell’esistenza e incerta s’è fatta la sua direzione. 

Filosofo e accademico, psicoanalista e scrittore, Umberto Galimberti, ha scritto pagine straordinarie sulla nostra società, analizzando con ferma, a tratti spietata lucidità, caratteri e contraddizioni del nostro vivere.

Inserendosi in uno dei temi più scottanti sulle polemiche del nostro tempo, il brano succitato sottolinea due punti importanti da considerare per quanto riguarda il malessere delle giovani generazioni: il nichilismo di cui parla Galimberti, è quel totale vuoto dell’anima che cerca affannosamente di essere colmato, quel cercare negli adulti dei modelli che possano essere fonte d’ispirazione e non di confusione, allo scopo di chiarire a sé stessi quale sia il percorso da scegliere nella vita e che cosa vogliamo diventare.

L’esortazione di Galimberti nell’educare i giovani ad essere sé stessi, contro una società che tende sempre più ad  uniformarli, è un invito a riappropriarsi del proprio intimo sentire, a manifestare liberamente un pensiero critico, a ritrovare il senso delle cose, a credere di poter gestire il proprio futuro senza remore né paure, a cercare la propria felicità, specialmente nei piaceri naturali ed autentici.

Tutto questo, però, come sottolinea lo scrittore al secondo punto, va fatto nel vuoto incolmabile in cui i giovani si ritrovano a vivere, in una società connotata dalla mancanza di certezze e dalla morale discutibile, in cui mancano modelli di riferimento da emulare, regole da rispettare, in cui albergano l’incoerenza, la disonestà, la mancanza di dialogo e di rispetto per l’altro.

I giovani si sono ritrovati a vivere in una società avida solo di personalismi, dove l’apparire è diventato il traguardo per essere vincenti, dove si insegna solo il potere del superfluo.

Non è un questo un voler mettere ancora una volta sotto accusa la famiglia, da sempre la prima istituzione educativa e sinonimo   di trasmissione di valori, ma è la constatazione  di una realtà innegabile,  che considera già la crisi del mondo degli adulti  come presupposto necessario del  malessere generazionale.

E’ un atto di coraggio prendere coscienza del problema che viene  così chiaramente alla luce, dove  la dinamica del disagio giovanile va ribaltata e assommata ad una crisi generale, in cui l’umanità stessa, schiava del capitalismo e del consumismo, è stata completamente assorbita dalla smania del potere tout court, del successo, dell’opulenza economica come idoli inalienabili.

Ma siamo convinti che dalla consapevolezza nasca la possibilità di cambiare le cose e, insieme, la capacità di non togliere ai giovani la voglia di sognare.

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