Messaggio di monsignor Parisi agli studenti per l’inizio del nuovo anno scolastico
6 min di letturaStudentesse e studenti carissimi,
mi rivolgo a voi perché siete esperti in percorsi di curiosità, di novità, di domande amorose. Voi che vorreste “bere la vita” a grandi sorsi, sapete bene quanto sia bruciante l’attesa delle risposte che cercate, soprattutto quando esse tardano ad arrivare o, peggio, quando non si intravvedono all’orizzonte, nonostante il vostro ardente desiderio.
Sono questi i momenti – lo sapete bene – in cui vorreste un aiuto dall’esterno, da un terzo che spunti e, magari, si proponga con una soluzione in mano, il più possibile rispondente ai vostri sogni, un “deus ex machina” risolutore. L’aspetto positivo di questa esigenza è la tacita dichiarazione del fatto che vorreste solo essere accompagnati in sicurezza per poter scegliere, in libertà, la vostra strada.
E così oggi, alla chiusura della prima metà di settembre, tra esiti della pandemia, assurde guerre e probabile crisi energetica, mentre la società civile si ripensa e si riorganizza in più occasioni (a Cernobbio per l’economia e a Venezia per l’arte cinematografica) e le prossime elezioni incombono, mi ritrovo a inseguire il vostro sguardo cercando in esso spunti per riflettere e scrivere. Dunque, mi rivolgo non solo a voi e alle vostre famiglie, ma a tutto il mondo della scuola che, anch’esso, si prepara a un nuovo anno di lavoro, di attese, di speranze.
Non mi propongo come il terzo che spunta dall’esterno quale ambasciatore di soluzioni pronte all’uso, ma come portatore di istanze sempre più urgenti, dettate dallo sguardo bruciante di molti di voi, carissimi giovani. A voi pesa, e non basta, una lista di cose e di contenuti da svolgere per essere allineati, alla fine dell’anno, in gelide griglie interessate all’espletazione asettica delle indicazioni ministeriali. Lo scopo e il senso del vostro itinerario di crescita e l’esigenza nascosta nelle vostre attese non si trovano nell’esecuzione servile dei programmi per il mero raggiungimento degli obiettivi ridondanti esposti con enfasi nei piani, a breve o a lungo termine, delle svariate offerte formative. I vostri insegnanti questo lo sanno bene. Come, del resto, loro sanno che voi siete giovani dallo sguardo “pathetico” nel senso originale della parola, cioè toccante, speranzoso e appassionato, che chiedete soprattutto di essere orientati, allenati ad affrontare le diverse situazioni che compongono la vostra quotidianità e che spesso vi trovano impacciati, o smarriti, o turbati, o sbigottiti, o perplessi, o poco reattivi, quasi foste assolutamente privi di resilienza e fantasia.
Si tratta di un bisogno profondo, da non sottovalutare o da accantonare, ma da mettere al centro di una riprogrammazione della persona e della società. Vorrei tanto parlare con voi di “ri-fertilizzazione” del contesto socio-culturale e di “ri-umanizzazione” delle relazioni interpersonali, familiari e comunitarie. Ci prenderemo, eventualmente, tutto il tempo necessario.
Ciò detto, questa succinta (o per meglio dire, “stringata e provocante”) silloge dei desideri profondi e veri, che supera la discutibile accondiscendenza alle avventure euforiche e alle esperienze effimere, dovrebbe farci riflettere su cosa mettere in quella “cassetta per gli attrezzi” da consegnare a voi studentesse e studenti, per dare a noi l’intima e serena convinzione di aver saputo cogliere le vostre richieste e le vostre attese, affinché possano erompere, alla fine di un percorso educativo – e non solo formativo –, delle “persone” mature e forti capaci di affrontare il difficile mondo che si staglia davanti ad esse.
È il tempo di consegnare a voi una bussola anziché una mappa da viaggio!
Consegnare una bussola a voi giovani significa darvi non solo un programma da svolgere, ma soprattutto un metodo di studio unito a un crescente senso critico, a un’abitudine all’esercizio di un’intelligenza vivida, pronta a leggere la realtà, a interpretarla, a risponderle, a interagire con essa. Per non soccombere sotto i suoi strali, per “continuare a vivere”, nonostante tutto, oltre tutto, attraversando tutto. Si comprende, dunque, che non è permesso più a nessuno “vivacchiare”, tutt’altro! Mai come ora, aggiungerei. È necessario vivere in pienezza, responsabilmente e così contribuire a migliorare quella stessa realtà che a volte vi/ci spaventa e nella quale, tuttavia, abitiamo.
“Ma come si fa?”. Questo è il grande interrogativo che accomuna piccoli e grandi, studenti e docenti, giovani e anziani. Le rifrazioni e gli sviluppi di tale domanda hanno il potere di orientare e forgiare attori protagonisti del cambiamento della storia e non anonime comparse! Seguendo tutte le risposte possibili a questa domanda noi dovremmo, alla fine di un ciclo di studi, chiedere ai ragazzi, ai giovani: “Dunque, c’è solo un modo per risolvere la questione?”.
E se spostassimo il nostro sguardo, il nostro punto di vista, cambiando prospettiva e approccio rispetto al problema, quante visioni nuove scopriremmo in merito, ad esempio, al rispetto per gli altri e per l’ambiente, oppure cosa emergerebbe relativamente alla vera necessità di produrre ciò che ci serve, alla cura delle ferite della storia e dell’anima, quale sarebbe il giudizio di valutazione corretto sul mondo?
Carissimi giovani, alcuni con maggiore e altri con minore consapevolezza, voi chiedete a noi adulti – che siamo il vostro riferimento – di essere allenati a stare, a rotazione possibilmente, nella posizione di “ultimo” e imparare a venirne fuori.
Ultimo non è solo chi non ha alle spalle reddito e famiglia solidi, ultimo è anche chi non conosce l’affetto vero, chi ha tutto ma non ha il senso del limite, chi non conosce il bisogno e alla prima difficoltà rischia di sciogliersi e sparire come neve al sole. Mi rivolgo, in questo contesto anche a voi, cari genitori: oggi è il compagno dei vostri figli. Domani potrebbe essere vostro figlio che ha tutto, ma non ha se stesso.
Questo problema profondo non è solo vostro, ma è anche mio, di me che sono adulto, che ho la responsabilità delle sorti della comunità tutta, anche di quella della quale lo studente fa parte viva. Per questo non è un affare privato quanto ho fin qui abbozzato, ma un problema generale, in particolar modo delle agenzie educative coinvolte dalla realtà: la famiglia, la scuola, la parrocchia. Tutte, chiamate e richiamate a sottoscrivere un patto educativo, per formare oggi degli “adulti” capaci di progettare e realizzare un domani migliore.
Con quali sensibilità? Quelle cui si è fatto rifermento e che vanno, in altra sede, sviluppate. Con quali priorità? Certamente molte, ma con una in prima fila: quella di assicurare a tutti un’eguale educazione e pari opportunità. Una visione della vita adeguata anche alle esigenze e alle capacità di coloro che in un preciso momento storico ricoprono il ruolo dei più fragili. Il nostro passo dovrebbe muoversi al ritmo del respiro stanco ed esausto del più debole. Ripartire dagli ultimi, proprio nelle scuole, non è solo segno di civiltà, ma è soprattutto l’occasione per offrire quel “sostegno” di cui tutti abbiamo bisogno, e non solo le persone con disabilità. Dovremmo essere umani, anche per non passare alla storia – nonostante i PEI e i PDP, nonostante gli strumenti compensativi e le misure dispensative – come i barbari del terzo millennio. Coloro che credono in Cristo Gesù sanno che tutto ciò che è autenticamente umano è profondamente cristiano. “Insegnare e praticare umanità” in un contesto educativo realmente inclusivo, accogliente e cooperativo, anziché elitario, divisivo e competitivo, è il nostro compito da adulti, liberi, responsabili, interessati al bene integrale della persona umana e desiderosi di far emergere da ogni uomo la potenza inattaccabile della sua dignità insieme al caleidoscopio delle sue competenze, passioni e qualità.
Così, seguendo l’orientamento di questa bussola, forse potremo incrociare il vostro sguardo, carissimi giovani e ragazzi, e sostenerlo senza timore di essere accusati di folle ignavia. Mi piace riprendere l’auspicio che lanciai in un’intervista in occasione del secondo mese del mio servizio come Vescovo di Lamezia Terme: vi auguro di avere “uno sguardo profetico e propositivo su tutto quello che vi circonda, senza cedere allo scoraggiamento e al pessimismo cronico, per essere voi stessi il primo contributo al cambiamento”.
Con questa grande speranza, vi stringo tutti in un forte e appassionato abbraccio e vi auguro “buon lavoro”, seguendo sempre con lo sguardo quell’orizzonte dove, come le sentinelle, scorgeremo “in anticipo, con responsabile lungimiranza, i colori dell’aurora”. Vostro,
✠ Serafino Parisi, vescovo