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Attivisti M5S: ex cantina sociale mancata opportunità di riqualificazione urbana

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Lamezia - Ex Cantina Sociale

Parafrasando una vecchia canzoncina dello Zecchino d’oro, potremmo canticchiare “E’ meglio Paolo, che non è bravo in matematica”

Comunicato Stampa

Lui probabilmente non la conoscerà, perché è dell’epoca dei suoi figli, ma a chi scrive piaceva così tanto da intonarla spesso e allegramente con le sue bambine.

E non è bravo, il Paoletto, perché sta fornendo di continuo, a giornalisti e ad altri, dei conti sull’ex Cantina Sociale, che, nonostante gli sforzi del suo bravo maestro elementare, proprio non tornano.

Innanzitutto gli sfugge il significato concreto del principio che l’IVA per le imprese è una partita di giro, come va ossessivamente ripetendo, e tocca a noi, che in matematica siamo più bravi di lui, cercare di farglielo comprendere.

L’IVA è una imposta da pagare allo Stato (per semplicità S) nel nostro caso dal secondo acquirente (per semplicità E), visto che il primo acquirente (per semplicità C), avendo comprato dal Comune di Lamezia, non ne ha pagato. Quindi E, dopo aver versato a C un importo di 651.200 euro di IVA, lo recupera (partita di giro) compensandolo con l’IVA incassata dalla vendita dei prodotti commerciali e di fatto paga l’immobile solo 2.960.000 euro. C, però, se ha, come sicuramente avrà trattandosi di impresa, un ammontare di IVA pagata per acquisti o servizi, compensa l’IVA incassata per la vendita con quella già pagata (partita di giro) e così recupera velocemente anche l’IVA della vendita, che lo Stato non incassa. Ergo, se il buon Paoletto avesse scelto di mettere all’asta il bene a 3.600.000 euro, come gli aveva fortemente suggerito la Commissione d’Accesso, non è escluso che l’acquirente E potesse partecipare all’asta, se non subito, quando il prezzo fosse sceso ad € 3.000.000 o giù di lì.

E però, anche a voler prendere per buono l’elenco delle spese esposto sulla stampa da C con molta fantasia, la matematica mascar…iota continua a far acqua da ogni parte. Secondo il Sindaco l’acquirente C, oltre al 1.230.000 di euro per il costo di acquisto, avrebbe speso: 150.000 euro per demolizione (gli unici di cui Paoletto sottolinea che sono stati fatturati, dal che si intende come per gli altri costi gli si debba credere sulla parola), più la cifra stratosferica di 450.000 euro di smaltimento dei detriti, più 200.000 per spese notarili, più 100.000 per acquisto di un terreno accanto, più 90.000 per la progettazione, e che sommate tutte queste spese, alla fine il povero C nel vendere a 2.960.000 euro avrebbe guadagnato, in due mesi, solo 150/200.000 euro.

Nel fare, per come ci insegnò il bravissimo e amatissimo maestro Gallo, somme e sottrazioni vien fuori però un totale reale delle spese di € 2.220.000, che sottratto dal prezzo di rivendita di € 2.960.000 dà a C un bel lucro, in soli due mesi, di 740.000 e non di quei 150/200.000 euro che indica il caro Paoletto. Ed anche a voler dar retta ai conti elencati da C si avrebbe un guadagno di circa 560.000 euro in due mesi, che ci pare pur sempre un affarone.

Rimane allora da chiedersi perché il Sindaco sia più realista del re (l’acquirente C) e cosa voglia coprire con questi suoi strafalcioni matematici: ansia, paura che i cittadini (anche ad approvare la sua scelta sciagurata di vendere un bene che era memoria storica e per il quale era avviato un ottimo e premiato progetto di recupero sociale) capiscano che il Comune ha incassato molto, molto meno di quanto poteva, o che cos’altro?

Infine, ma non ultimo: la scelta di vender l’ex Cantina la fece Paoletto nel 2016/2017, per come è stato messo in buon rilievo dalla Relazione della Commissione d’Accesso; il disprezzo per la memoria storica da lui mostrato nel definirla ferraglia e ricovero per delinquenti e tossicodipendenti fa esattamente il paio con quanti, mostrando lo stesso disprezzo ed usando gli stessi termini di dileggio, volevano far demolire quell’ex Zuccherificio, che solo un indomito manipolo di coraggiosi ambientalisti fece sì che, mentre lui affossava la Vigor Lamezia, fosse vincolato dalla Sovrintendenza delle Belle Arti come archeologia industriale, riuscendo a salvarlo dalla demolizione.

In conclusione, grazie a Paoletto ci ritroviamo con una mancata opportunità di riqualificazione urbana a fini sociali di un bene comune e con la svendita agli speculatori di un altro pezzo di città.

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