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AMA Calabria. Pamela Villoresi “Divina Duse”

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Lamezia Terme, 4 novembre 2022, Foyer Teatro Grandinetti. Altro grande appuntamento con la nuova stagione concertistica di AMA Calabria. In scena La musica dell’anima. Ritratto di Eleonora Duse tra le note della sua epoca con Pamela Villoresi voce recitante e il M° Marco Scolastra al pianoforte.

Un racconto in musica con la magnifica presenza di Pamela Villoresi, Signora del Teatro italiano, perfetta combinazione di talento e tecnica, la quale con i suoi strumenti interpretativi, che la rendono oggi una delle attrici più brave e mature della scena nazionale, dà corpo e voce a Eleonora Duse.

Sospiri, timbri vocali, pause trovate con tempo preciso, gesti misurati, lacrime vere, venature malinconiche e sapida ironia in stile Belle Époque illuminano la realtà di un testo – magnificamente scritto da Maria Letizia Compatangelo – che riesce a scavare nella vita e nell’arte della Duse rivelando aspetti sconosciuti o poco noti di una modernissima figura di donna libera e anticonformista.

Ed ecco che il teatro di parola ridefinisce i suoi schemi intessendo vecchie malie e rivelando una felice operazione celebrativa nei confronti di una delle più grandi attrici del Novecento che si meritò l’appellativo di “Divina”.

Un racconto psicologicamente incisivo in cui il contrappunto vocale della narrazione è inframezzato da brani musicali con cesure e agganci di grande effetto magistralmente eseguiti dal M° Marco Scolastra, interprete di un ricco e ricercato repertorio. Le musiche scelte sono quelle amate dalla Duse e dai grandi personaggi che ha frequentato: il “tocco di piano” di Gioacchino Rossini con Assez de memento: dansons; Costantino De Crescenzo con la struggente Prima carezza; Sergej Prokofiev con Capuleti e Montecchi da Romeo e Giulietta; Fryderyk Chopin (di cui la Duse custodiva ben due epistolari) con Lento con gran espressione; E. A. Mario con Dduje Paravise e Guglielmo Cottrau con Fenesta vascia, per ricordare Napoli; Éric Satie con La Diva de l’Empire; l’amatissimo Richard Wagner /Franz Liszt con Il sogno di Elsa da Lohengrin; la musica di Ludwig van Beethoven, “balsamo” per la sua anima, con Adagio dalla Sonata op. 13; l’omaggio al suo amante segreto Arrigo Boito con L’altra notte in fondo al mar; Edvard Grieg, norvegese come l’amatissimo Ibsen, con Takk; Scott Joplin con Original Rags, George Gershwin con Rapsodia in blu e John Cage con Ophelia, tributo all’America che l’ha accolta nella vita e nella morte.

Ed è proprio Chopin, tra i tanti musicisti amati dalla Duse, a rappresentare la sua anima gemella “quella la cui musica ti entra come il sangue in circolo fino ad arrivare al cuore per abbeverarlo di vita”. Perché Chopin ha rivoluzionato la musica trasformando la voce del pianoforte in una sorgente di lirica purissima, senza trucchi e senza infingimenti, ha denudato la propria anima esattamente come ha fatto la Duse nella propria arte, scegliendo la “verità scenica” e anticipando, di fatto, quella che è considerata la recitazione moderna.

La Villoresi/Duse racconta i primi esordi fino al trionfo a Napoli, città in cui prende consapevolezza della propria giovinezza e scopre l’allegria grazie all’amicizia con Matilde Serao. Qui incontra il suo primo amore Martino Cafiero, bello e pericoloso, grande giornalista e intellettuale raffinato che però l’abbandona subito dopo aver appreso la notizia della sua gravidanza. Lei si ritrova da sola con un bambino che ama disperatamente e, nonostante a quei tempi non fosse permesso a una nubile avere figli perché considerato un insulto alla pubblica decenza, per poter mantenere il figlio accetta una scrittura al teatro di Torino. Subito dopo la nascita, il bimbo viene affidato a una balia a Marina di Pisa ma muore dopo poche settimane senza che lei possa abbracciarlo per un’ultima volta.

Matilde Serao si prende cura di lei come una mamma, l’unica cosa che le resta è il lavoro, perché il lavoro rende liberi, anzi libere. Le emancipazioniste la adorano ma non sanno quale prezzo abbia dovuto pagare per questa libertà che ha sempre difeso non permettendo mai ingerenze nella sua vita professionale.

Ed ecco il suo rapporto con Sarah Bernhardt, rivali sulla scena ma non nella vita. Il loro primo incontro avviene a Torino, nel teatro in cui la Duse è scritturata. La Duse cerca di carpirne ogni movenza, ogni gesto. Tutti i pomeriggi entra di nascosto nel suo camerino, accarezza i suoi copioni e le lascia una rosa bianca. Un sentimento di eterna gratitudine la unirà per sempre a questa donna che le ha regalato il coraggio di osare.

Ancora il ricordo di suo marito Tebaldo Marchetti, padre di sua figlia Enrichetta, uomo ottuso che non comprende il suo bisogno di silenzio e di tempo per avvicinarsi ai suoi personaggi, la considera “strana”. Il loro matrimonio naufraga dopo averlo trovato a letto con un’attrice tredicenne, Irma Gramatica, mentre sono in tournée in Sud America dove lei conosce l’attore Flavio Andò.

Nel frattempo ritrova Matilde Serao che la presenta a Dumas il quale scrive per lei un copione in cui racconta la storia di suo figlio. Recita Violetta davanti a Verdi, Strepponi e Boito. Interpreta il ruolo di Santuzza in Cavalleria Rusticana di Verga con il quale ha una breve conoscenza carnale.

Intanto inizia la relazione con Arrigo Boito, una persona che avrebbe potuto comprenderla, con la quale avrebbe voluto condividere la propria vita ma qualcosa si frappone sempre tra loro: egli disprezza il teatro, lo considera finzione e vuole che lei lo lasci. Ma cos’ha il teatro di meno nobile del melodramma, della poesia? Non è forse poesia il vero teatro? E perché se lo disprezzava tanto aveva scritto l’adattamento da Shakespeare di Cleopatra che lei aveva poi portato al successo? Forse è stato il teatro stesso ad impedire alla Duse di abbandonare le scene negandogli anche quel figlio che tanto avrebbe desiderato da Boito. Tuttavia, da lui impara a conoscere e ad amare la musica di Beethoven che cerca di ascoltare ovunque venga suonata e porta sempre con sé,  nelle sue tournée, una maschera di gesso del musicista tedesco.

Poi la sua tournée a New York dove si trova anche Sarah Bernhardt. I giornali dell’epoca cercano di amplificare la loro rivalità ma lei concede una sola intervista ad una giornalista nel tentativo che, da donna, possa comprendere il suo bisogno di silenzio e di concentrazione. Il successo americano è totale. “Eleonora Duse the passing star”, questo il claim a caratteri cubitali che campeggia sotto la sua effige su tutti bus della città. Ormai il mondo è pronto ad accoglierla e a tributarle il giusto riconoscimento mentre Arrigo la tiene a debita distanza facendola sentire inadeguata. Eppure Čechov l’adora, Mejerchol’d e Stanislavskij ammirano il suo modo di recitare, il presidente Cleveland e la first lady la ricevono alla Casa Bianca e Boito continua ad insistere affinché lasci le scene. Così comincia a staccarsi, a pensarsi da sola, a far conto esclusivamente su sé stessa. Prende casa a Venezia, la sua patria dell’anima, l’unico luogo capace di placare la sua smania e qui incontra l’infernale, divino D’Annunzio. Una storia lunga dieci anni che tiene avvinte le loro anime. Entrambi condividono il sogno di un nuovo Teatro di poesia, una nuova Bayreuth. Come una sacerdotessa che adora il suo Dio, la Duse investe tutte le sue sostanze per allestire le creazioni dannunziane, Francesca da Rimini, La città morta, Sogno di un mattino di primavera, sfidando la riprovazione degli amici, facendo di tutto per portare la sua parola al successo. Eppure lui continua a tradirla, rimproverandola di aver messo in scena Ibsen invece di dedicarsi solo alle sue opere. E lei continua ad amarlo. Incontra Wagner e riconosce in lui quello che sente nella sua musica, qualcosa di simile alla consapevolezza della sua supremazia, quella forza che lei avrebbe voluto avere. Wagner è stata la passione più grande condivisa con D’Annunzio insieme al loro comune sogno di un teatro di poesia. Sogno che ha amato più di ogni altra cosa ma che lui ha spezzato, non per averla tradita con altre donne, ma per aver scritto la sua protagonista più bella, La figlia di Iorio, per una ventenne. D’Annunzio sapeva che la Duse non avrebbe mai potuto interpretarla ma sapeva anche che lei, di fronte all’arte, non si sarebbe opposta. Infatti finanzia l’allestimento però qualcosa fra loro si rompe irrimediabilmente. Inizia così una nuova fase della sua vita, vuole incontrare Ibsen che lei aveva fatto conoscere in Italia e nel mondo e organizza una grande tournée al Nord. Purtroppo è tardi, invano lo attende davanti alla sua casa, a Oslo, sperando di poterlo almeno scorgere dietro le tende delle finestre.

Subito dopo la scoperta della sua malattia – le luci del palcoscenico la stanno rendendo cieca – si ritira dal teatro e si butta a capofitto nel progetto della Casa per le attrici che poi darà vita all’Accademia d’Arte Drammatica. Va spesso al cinema, nutrendo il grande rimpianto di essere nata troppo presto per il grande schermo anche se gira un film, Cenere, “vedendosi” recitare per la prima volta. Dopo lo stop imposto dalla Prima Guerra mondiale, ritorna alla sua arte, prendendo esempio proprio dalla Bernhardt che, nonostante una gamba di legno, continua a calcare le scene. La figlia Enrichetta non condivide la scelta della madre ma, prima che la Duse si imbarchi per una nuova trionfale tournée in America dove incontrerà anche Chaplin, assiste di nascosto ad alcune delle sue repliche a Londra. Lei, per una strana forma di pudore, aveva sempre proibito a Enrichetta di essere presente ai suoi spettacoli. Quell’incontro, in cui riscoprono il loro rapporto, sarà l’ultimo ricordo che la Duse conserverà della figlia. Si lasciano con la promessa di passare l’estate insieme al ritorno dall’America ma una polmonite la fermerà per sempre “Il teatro non era il mio destino. Il teatro è stato la mia vita. Il mio destino era il futuro…”. Muore a Pittsburgh nel 1924.

Uno spettacolo intenso e ricco di suggestioni. L’impressione dell’annullamento tra attrice e personaggio accompagna il pubblico per l’intera durata della pièce. Applausi lunghissimi e sentiti a Pamela Villoresi per l’espressività di una recitazione inquieta, forte, sincera e al M° Marco Scolastra per le magnifiche esecuzioni musicali.

 

Giovanna Villella

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