«Nun moro io». Il 6 agosto di cento anni fa moriva Enrico Toti
3 min di letturaRicorre oggi il centenario della morte del bersagliere volontario Enrico Toti, divenuto celebre per l’ardita fine che ne cessò il volo durante la Grande Guerra.
Nato nel quartiere romano di San Giovanni nel 1882, Toti ebbe una vita avventurosa e drammatica quanto breve ed eroica. A quindici anni lasciò la famiglia per imbarcarsi prima sulla nave Ettore Fieramosca e poi sulla Emanuele Filiberto e sull’incrociatore Coatit. Durante il lavoro svolto sull’ultimo vascello, fu anche protagonista di una battaglia contro dei pirati, al largo delle coste della colonia italiana in Eritrea.
Dopo il suo congedo, avvenuto nel 1905, entrò nelle Ferrovie dello Stato per una carriera più ordinaria e all’apparenza molto meno pericolosa di quella trascorsa per i mari del mondo. Fu il 27 marzo 1908 che, invece, durante le operazioni di lubrificazione di un mezzo, Toti cadde tra gli ingranaggi rimanendo incastrato con la gamba sinistra. Trasportato d’urgenza in ospedale, i medici non poterono far altro che amputargli l’arto all’altezza del bacino. Questa disavventura non scoraggiò il giovane che si reinventò creatore e ciclista riuscendo nel 1911 a completare l’impresa di pedalare su una gamba sola dall’Italia fino alla Lapponia, attraversando Francia, Belgio, Olanda, Danimarca e Finlandia, per poi concludere l’incredibile viaggio passando dalla Russia e dalla Polonia. Nel 1913 il progetto di un’altra impresa analoga, ma in terra africana, fu stoppata dalle autorità britanniche in Sudan per la rilevata eccessiva pericolosità dell’impavida mono pedalata.
Il 24 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra. Inizialmente Enrico Toti non fu arruolato per via del suo deficit ma, combattivo e volenteroso di prestare il suo servizio alla patria, il giovane decise di raggiungere con la sua bicicletta il fronte a Cervignano del Friuli venendo assunto come civile volontario. L’anno successivo riuscì a entrare addirittura nei bersaglieri ciclisti del terzo battaglione venendo insignito dell’elmetto piumato e delle stellette.
La guerra contro i soldati austroungarici imperversa e durante la sesta battaglia dell’Isonzo, il 6 agosto 1916, presso Quota 85 di Monfalcone, inizia la leggenda di Enrico Toti. Il bersagliere romano, all’ordine di uscire dalle trincee e di avanzare contro il nemico, fu uno dei primi a precipitarsi allo scoperto, ma una pallottola lo colpì dopo pochi passi. Un compagno di reparto, Ulderico Piferi, lo ricorderà così: «Aveva percorso cinquanta metri quando una prima pallottola lo raggiunse. M’avvicinai mentre eravamo entrambi allo scoperto. Non ne volle sapere di ripararsi, continuava a gettare bombe e per far questo si doveva alzare da terra. Fu così che si prese una seconda pallottola al petto. Pensai che fosse morto. Mi feci sotto tirandolo per una gamba ma questi scalciò. Improvvisamente si risollevò sul busto e afferrata la gruccia la scagliò verso il nemico. Una pallottola, questa volta l’ultima, lo colpì in fronte».
Prima di essere centrato dall’ultimo proiettile, indomito come sempre gridò: «Nun moro io». Urlo che precedette l’estremo ed eroico gesto del lancio della sua stampella verso il nemico. Spirò dopo aver baciato il piumetto dell’elmetto per l’ultima volta.
Pur non essendo mai stato un militare vero e proprio a causa del suo difetto fisico, Enrico Toti fu decorato con la medaglia d’oro al valor militare per motu proprio dal re Vittorio Emanuele III. Simbolo dello stoicismo patriottico italiano, il suo nome è presente in centinaia di vie e piazze d’Italia. La città di Roma ha eretto in sua memoria un monumento bronzeo a colle Pinciano e due statue, una a Villa Borghese e l’altra all’interno di Porta Pia, che lo immortalano nell’ardimentoso gesto del lancio della gruccia.
Antonio Pagliuso