Antonio Gigliotti: una penna, un’idea
4 min di letturaGiornale e Partito. Quando lo si incontrava, quando si parlava di lui, erano i due termini che affioravano alla mente e che servivano a definirne l’immagine. Ad un anno dalla sua scomparsa, è inevitabile ricordarlo quale esempio di coerenza, dedizione e passione ad un lavoro e un’idea che lo ha segnato sin dalla sua più tenera età.
Antonio Gigliotti, amichevolmente conosciuto come ‘Ntoni Gigliotti, iniziò la sua militanza nel Partito Comunista nell’ ottobre del 1943 quando aveva soltanto quindici anni e in un periodo storico sicuramente non molto favorevole a ideali difformi da quelli al potere. Cominciò la sua formazione politica uscendo dalla ‘clandestinità’ a settembre del 1944 quando si iscrisse al Movimento Giovanile Comunista “Italia Libera” per poi acquisire, pochi mesi dopo, la tessera numero 794811 del Partito Comunista Italiano.
Una appassionata attività politica che, a partire dalla partecipazione alle lotte operaie degli anni ’50, lo condurrà a ricoprire il ruolo di consigliere comunale per la città di Nicastro dove era nato nel quartiere Timpone.
Dopo alcuni cambi di residenza obbligati a causa del lavoro del padre, Antonio Gigliotti si stabilì definitivamente a Nicastro da dove, intrapresa la carriera giornalistica, scriveva come corrispondente regionale de “l’Unità” e contemporaneamente svolgeva il compito di incaricato nella segreteria regionale del PCI al fianco di Mario Alicata e Luigi Silipo.
La sua è stata una militanza ‘scomoda’ sino al punto da vederlo imputato in ben tredici processi al fianco di altri dirigenti di partito (Francesco Reale, Francesco Blaganò, Francesco Primerano, Armando Scarpino, Giuseppe Seta) e ad alcune decine di braccianti e contadini. Associazione, istigazione all’odio e alla violenza, sovvertimento del potere e dell’ordine costitutivo dello Stato: erano queste le gravi accuse poi rivelatisi non sussistenti a conclusione dei processi celebrati.
Le note informative delle Forze dell’Ordine lo indicavano come sobillatore, sovversivo o antigovernativo così come, all’epoca, venivano ‘marchiati’ i militanti comunisti che erano puntualmente ostacolati quali partecipanti a concorsi pubblici: Gigliotti fu infatti escluso dal concorso per ispettore di Dogana e nelle Ferrovie dello Stato. Alla fine degli anni ’50, in occasione della venuta in Italia di Eisenhower, Presidente degli Stati Uniti d’ America, provò anche il carcere. Arrestato e rinchiuso senza alcun apparente motivo, solo dopo seppe di essere accusato di aver “ordito” una protesta contro il generale. Un caso strumentalmente ‘montato’ che colpiva un giornalista comunista che era anche nell’Ufficio di Segreteria Regionale del PCI.
La sua detenzione durò otto giorni e, quando dopo diversi mesi fu celebrato il processo, fu prosciolto con formula piena e cancellazione dell’accusa di “flagranza di reato” inizialmente formulata dalla Questura.
Un uomo ‘sotto tiro’ per le sue idee politiche che gli hanno procurato problemi con la giustizia anche in relazione alla sua attività di giornalista parimenti contrassegnata da alcuni processi conclusi poi con la piena assoluzione.
Passato da “l’Unità” a Paese Sera, iniziò la collaborazione con “Il Giornale di Calabria” diretto da Piero Ardenti ed una redazione centrale di livello considerato che ne facevano parte nomi illustri come Paolo Guzzanti, Francesco Faranda (fratello di Adriana, brigatista nota per la questione Moro) e Tonino Di Rosa (oggi con incarichi direzionali in vari quotidiani nazionali).
In funzione di redattori, erano suoi colleghi anche Pantaleone Sergi (futuro Direttore de “Il Quotidiano”), Santino Trimboli e Pietro Melia, divenuti in seguito redattori della RAI Calabria. Quel “Giornale di Calabria” però, legato alle fortune della SIR di Rovelli, chiuse i “battenti” dopo qualche anno e Gigliotti riprese la sua attività con “Il Giornale di Calabria” di Catanzaro diretto da Giuseppe Soluri fino a quando non fu chiamato da Pantaleone Sergi, direttore de “il Quotidiano”, che lo invitava a collaborare con il giornale di orientamento progressista e con il quale lavorò anche sotto la direzione di Ennio Simeone, già redattore de “l’Unità” e di “Paese Sera” che conosceva da tempo.
Chiusa la sua esperienza con il “Quotidiano”, scrisse per “il Domani” edito da Guido Talarico, diretto inizialmente da Ugo Bassi e poi dal reggino Domenico Morace ed ha concluso la sua carriera giornalistica come collaboratore dell’Agenzia ANSA.
Una vita ‘battuta’ fra fogli di giornale, redazioni e riunioni di partito quando l’informazione e le idee bisognava cercarle e dargli valore.
Mariateresa Costanzo