Ottant’anni fa moriva Grazia Deledda, l’unica donna italiana a vincere il Nobel per la letteratura
3 min di letturaUn’autodidatta insignita del più grande premio che una scrittrice possa anelare. Questa è la storia di Grazia Deledda, nata a Nuoro il 27 settembre 1871 e morta a Roma il 15 agosto 1936, esattamente ottant’anni fa. Una vita dedicata alla scrittura e alla meditazione circa i problemi e la precarietà della condizione umana quella della scrittrice sarda vicina alla corrente decadentista e verista.
Conclusi gli studi elementari, Grazia Deledda, quinta di sette figli di una famiglia agiata (il padre Giovanni Antonio era imprenditore, tipografo e possidente terriero), dovette adeguarsi al costume dell’epoca che non consentiva alle ragazze di proseguire gli studi oltre l’istruzione primaria; perciò la giovane iniziò a studiare italiano, latino e francese dapprima con un professore privato, poi continuando da autodidatta.
Le amicizie strette con lo storico sardo Enrico Costa e, successivamente, con Luigi Capuana le fecero scoprire se stessa portandola ad approfondire la propria ricerca letteraria e morale. Fra il 1891 e il 1896 sulla “Rivista delle tradizioni popolari italiane” pubblicò a puntate il saggio denominato “Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna”. Le storie di Deledda hanno quasi sempre avuto come ambientazione il paesaggio aspro della sua Sardegna e come carattere dominante l’etica patriarcale del mondo rurale della sua terra natia. La situazione regionale che emerge nella sua opera ha rappresentato una metafora della condizione umana perennemente insidiata dal male e dalla colpa. I suoi racconti, inoltre, potrebbero esser definiti popolari, poiché trattavano storie di rapimenti, vendette e amori, e fatali, considerando la coltre di inesorabile casualità nella quale sono gettati i suoi personaggi.
Nel 1899 Grazia Deledda si trasferì a Roma dove l’anno successivo contrasse matrimonio con Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze. Anche nella Capitale la sua scrittura non volse sullo stile più à la page, rimanendo fedele al suo impegno morale al servizio dell’arte. Anche la sua vita non subì particolari scossoni, restando appartata e legata ai valori, ai sapori e alle melanconie della sua terra.
Tra le sue opere più riconosciute ricordiamo “Canne al Vento” (affresco della fragilità umana della popolazione rurale sarda del Novecento), “La madre” ed “Elias Portolu”.
Nel 1926 la scrittrice nuorese ricevette il premio Nobel per la letteratura «per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi». Fu la prima, e finora unica, donna del Bel Paese a essere insignita dell’esimio riconoscimento, la terza italiana nella storia con Giosuè Carducci e Luigi Pirandello.
Il suo corpo è custodito nella chiesetta della Madonna della Solitudine ai piedi dell’Ortobene di Nuoro, monte molto caro ai nuoresi e a Grazia Deledda che ne parlò in questi termini: «No, non è vero che l’Ortobene possa paragonarsi ad altre montagne; l’Ortobene è uno solo in tutto il mondo: è il nostro cuore, è l’anima nostra, il nostro carattere, tutto ciò che vi è di grande e di piccolo, di dolce e duro e aspro e doloroso in noi». La sua casa natale, situata a San Pietro, un antico rione della città di Nuoro, ora è adibita a museo.
Antonio Pagliuso