Legge 194 a tutela della cultura della parità fra i generi
4 min di letturaIl tema della maternità come responsabilità sociale torna in auge, da un lustro a questa parte, conseguentemente a due fenomeni di distinta natura
Da un lato l’invecchiamento progressivo della popolazione, derivato da un calo delle nascite che appare sempre più irreversibile, dall’altro per la preoccupazione che le nascite numerose fra le persone immigrate unita ai flussi migratori accolti nei nostri paesi possa trasformare la composizione sociale a favore di una scomparsa dei sistemi sociali e valoriali che si erano formati nei secoli recenti nelle nostre comunità.
Il tema è spinoso, soprattutto per il mondo cattolico e per la sinistra democratica, che fondano la propria azione nel mondo su accoglienza, inclusione e soccorso ai fragili. Unitamente al rispetto per le culture ospitate, addirittura a scapito dalle conquiste faticosamente raggiunte dalle civilissime azioni di rivendicazione per il rispetto dei generi e dei diritti della donna alla parità nella differenza.
Ovvero alla coesistenza di ossimori valoriali, secondo i quali, giustamente, l’infibulazione si configura come reato, mentre spesso si accoglie l’obbligo al velo (non la scelta del velo) nascondendo ai nostri movimenti gli aspetti di violazione dell’identità percepita ed auto-percepita che una diffusa presenza di questa abitudine introduce in generale nelle donne e anche in quelle che a quel portato culturale non appartengono.
Sappiamo bene del resto come la cultura europea, soprattutto se indebolita nei suoi sentimenti di forza e libertarietà, e annegata nella crisi economica, si nutra anche di aspetti di fascinazione inquietante per situazioni relazionali da Sindrome di Stoccolma.
Al centro delle conquiste della democrazia nei paesi occidentali va a situarsi un lungo lavoro fatto dalle donne, e poi offerto all’azione legislativa e al confronto culturale, per passare da una dimensione di disconoscimento e di subalternità a una condizione percepita e proattiva di sentimento di sé e individuazione dei contesti sociali in cui l’identità femminile viene riconosciuta libera e rispettata nel diritto. Dal diritto al voto, alla cancellazione del delitto d’onore, dal riconoscimento dello stupro come reato contro la persona, sino alle leggi sul divorzio e sull’interruzione di gravidanza, la legge 194, oggi, nei fatti, in troppi luoghi occidentali messa in discussione.
Entriamo dunque nelle ragioni della difesa della legge 194, e del suo essere collegata all’istituzione, in Italia, dei consultori, con una ampia missione di servizio sul versante della educazione alla sessualità, alla contraccezione, alla maternità biologica, alla maternità adottiva e alla maternità per altri. Una legge, in sintesi, la 194, che si collega a una visione che tutela la libertà e responsabilità sul proprio corpo, la responsabilità verso il corpo degli altri e delle altre, la consapevolezza nelle scelte di procreazione responsabile.
Il progressivo esaurirsi degli investimenti economici nelle strutture di consultorio, l’assenza di interventi per il potenziamento di spazi e figure professionali in esse attivi, insieme alle campagne di stampo conservatore di realtà sedicenti pro-vita, e alle recenti disposizioni di accesso alle strutture sanitarie di Associazioni, rendono oggi il panorama desolante.
L’educazione sentimentale al corpo, l’informazione e facilitazione delle pratiche contraccettive e di tutela della salute, il dialogo offerto ai minori che non abbiano in famiglia luoghi aperti al dialogo, l’informazione, l’accompagnamento alle scelte, vengono mutilate e riconsegnate a un nuovo medioevo. Mentre i consultori sono “fatiscenti” e impossibilitati a compiere la loro missione, persino quella di accompagnamento alla gravidanza e alla prevenzione, la società investe in sistemi premianti per le donne che mettano al primo posto la priorità sociale di moltiplicarsi.
Invece di investire su strutture e luoghi che consentano alle donne in arrivo in Italia informazione e occasioni di confronto con i nostri valori del sé, e dei generi, queste vengono vissute come madri operose al servizio del sistema paese, e contemporaneamente le si conferma nel loro sistema valoriale così differente dal nostro, per il quale abbiamo così lungamente lottato e lavorato e lottato.
E per il quale ancor oggi lottiamo. Infine, accanto a tutto questo, la Legge 194, espressione più concreta di una cultura della proprietà sulle scelte relativamente al proprio corpo, diventa nei fatti un diritto Impraticabile, inesigibile e inadeguato ai bisogni, attraverso il nodo mai sciolto del diritto all’obiezione di coscienza dei medici nei reparti di ginecologia, ostetricia e maternità.
Nel rispetto del diritto all’obiezione di coscienza, le ASL dovrebbero risolvere in modo operativo il nodo non sciolto, indirizzando altrove i sanitari che non possano garantire i servizi sanitari previsti per legge, e dotare le struttura di personale medico infermieristico che si impegni al meglio nel garantire diritto alla privatezza, alla informazione e alla scelta, e che non esprima in alcun modo convinzioni morali o culturali che possano arrecare danno alla donna che decida di interrompere la gravidanza. Immaginate se mettessimo a sovrintendere i servizi trasfusionali persone convinte dell’obbligo alla integrità del sangue nella persona. Non sarebbe un disastro?
Il compito delle forze politiche democratiche non può che essere orientato a ottenere i dati sul servizio e sulle coperture economiche e di competenze ad esso destinate, nelle diverse strutture. E le azioni derivate dall’Amministrazione Regionale. Uscendo dalla logica del generale.