“Gran Café Chantant” o della nostalgia del teatro che fu
3 min di letturaLamezia Terme, 12 gennaio 2017 Teatro Comunale Grandinetti. In scena, per la Stagione di Prosa organizzata dall’Associazione AMA Calabria, Gran Café Chantant di Eduardo Scarpetta nella versione diretta e interpretata da Tato Russo e da un cast di attori eccellenti che meritano di essere nominati. Tutti.
Clelia Rondinella, Katia Terlizzi, Mario Brancaccio, Pippo Cangiano, Salvatore Esposito, Dodo Gagliarde, Letizia Netti, Carmen Pommella, Francesco Ruotolo, Caterina Scalaprice, Massimo Sorrentino e l’Orchestra Gran Café Chantant.
Uno spettacolo corale, divertente e intelligente con una giostra di soluzioni visive e interpretative e un alternarsi di registri che si sviluppano nell’immediatezza di una recitazione volutamente alla maniera dei guitti, tanto più difficile a ottenersi quando gli attori guitti non sono.
Ma anche una riflessione sul “Teatro”, con i suoi vizi e i suoi vezzi, con riferimenti – sia pure parodistici – al teatro colto ormai in decadenza e una analisi critica di un periodo storico, quello della Belle Époque che tra la fine del 1800 e il primo decennio del ‘900 riesce a incidere profondamente nella storia del costume.
Sul palco bauli di vestiario ed elementi scenografici alla rinfusa, come di un teatro che sta per essere dismesso. La scatola scenica, nell’allestimento di Beppe Zarbo, è infatti aperta da tutti i lati e permette al pubblico di frugarla con lo sguardo cercando di carpirne i segreti e di rintracciarvi ancora, al di là della crisi ormai evidente, l’eco di un antico e umano lavoro e resilienti brandelli di poesia.
E così tra ricordi e rievocazioni del bel tempo che fu “… Otello! Oreste! I due sergenti! La gente non ne vuole sapere più! Mannaggia il café-chantant e le canzonette da quattro soldi…” prende spunto la trama dello spettacolo che si sviluppa intorno alla storia di due coppie di artisti drammatici che, alle prese con l’atavico problema della fame, accettano di esibirsi in un café-chantant di Pozzuoli.
Qui, in un cambio di scena e in un carosello di colori, lustrini, equivoci e battute affidati a personaggi che fanno dell’iperbole, dell’esagerazione, del trucco e della allusione la cifra stilistica della seconda parte dello spettacolo, si rivelano gli omaggi ai grandi del teatro partenopeo Eduardo e Totò e alla tradizione della sceneggiata.
In questa atmosfera di festa resa ancor più vivace e suggestiva dal disegno luci di Roger La Fontaine, tra le paillette, le piume e le crinoline dei costumi sfarzosi e sgargianti firmati da Giusi Giustino, con l’orchestrina sistemata in platea che esegue musiche arrangiate da Zeno Craig, tra sketch e numeri di illusionismo, duetti comici condotti sul filo di un dissacrante/ingenuo erotismo e ammiccanti sciantose in décolleté e gambe al vento, declamati patetici e accenni di magniloquenza, si consuma questa favola per adulti dal finale amaro.
Un boato, il fondale crolla e un manifesto di propaganda bellica annuncia lo scoppio della Grande Guerra. Con effetto slow-motion, che anticipa l’avvento del cinematografo, gli attori riemergono dalle macerie in una scena illuminata da luci stroboscopiche mentre l’orchestra attacca la musica di “Cinematografì-Cinematografà” e il capocomico/demiurgo Tato Russo, lasciando trapelare lampi di malinconica cupezza, si fa poeta della disillusione, della dissoluzione e del disincanto.
Lunghi e meritati applausi per tutti.
Giovanna Villella
[foto di scena Ennio Stranieri]