Principìcchiu di Calabria
4 min di letturaLamezia Terme, 14 marzo 2017. Al TIP Teatro, per la XIV edizione della rassegna Ri crii diretta da Dario Natale, in scena Lindo Nudo della Compagnia Teatro Rossosimona con la lettura de ‘U principìcchiu, versione in lingua cosentina-rendese (pubblicata da Rubbettino con prefazione di Peppino Mazzotta) del capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry ll piccolo principe.
Lindo si presenta in scena a piedi nudi. Indossa un pantalone arancio e un camicione azzurro, al collo una lunga sciarpa gialla, la stessa che l’iconografia di tutti i tempi fa svolazzare intorno al collo del piccolo principe.
Con lui sul palcoscenico spoglio – solo il leggio e una tela dipinta a mo’ di fondale a suggerire il deserto dell’infanzia – il musicista Giuseppe Oliveto e i suoi strumenti.
Buio in sala. La luce azzurrina illumina Lindo che sulle note della fisarmonica principia il suo racconto.
i fonemi dolci, quasi cantilenanti dell’idioma cosentino creano una tensione sotterranea fra parola detta e testo, dove la pacatezza sta nella cura di una lettura antiretorica e l’emotività viene filtrata, ma anche potenziata, dal suggestivo tappeto sonoro che evoca spazi interstellari o il tramestio frusciante della sabbia del deserto o note cullanti come una ninna nanna.
Uno spazio quasi magico, vellutato, avvolge lo spettatore evocando il fascino senza tempo del racconto orale. Nessun rumore, nessun elemento di disturbo. Solo la voce tesa e carezzevole del poeta/novellatore che narra di boa che sembrano cappelli.
Poi la luce si fa più calda e lui è l’aviatore che si è perso nel deserto. In una polifonia di voci conosciamo ‘u principìcchiu che chiede all’aviatore di disegnargli una pecora.
Andiamo sul piccolo asteroide B612 e vediamo la sua rosa ma “[…] ‘un s’ànnu mai ‘e stà a sente i juri. S’ànnu sulu ‘e guardà e addurà”. L’amore e il pianto. L’addio alla rosa. Rosa superba e lacrimosa. E durante il lungo viaggio d’’u principìcchiu anche noi siamo al cospetto del re “vestutu de porpora e d’ermellino” che pretende di governare su tutto, anche sul sole.
Sorridiamo amaramente dell’uomo che si vanta da solo:
“Ma si sup’a ‘ssu pianeta tu si’ sulu!”,
“Fammi ‘ssu piacire. Ammirìrammi ‘u stessu.”
Ci immalinconiamo davanti all’ubriacone che si vergogna del suo stato:
“Pecchì stà’ vivìennu?” […]
“Ppe mi scurdà” […]
“Ppe ti scurdà cchì?” […]
“Ppe mi scurdà ca mi para vrigogna” [ …]
“Vrigogna ‘e cchì?” […]
“Vrigogna ca mi mbriàcu!” […]
Proviamo commiserazione per il contatore di stelle che richiama concettualmente alla memoria “L’uomo che misura le nuvole” di Jan Fabre. Tenerezza mista ad ammirazione per il lampionaio e il suo lampione.
Sorridiamo del vecchio geografo che non ha mai viaggiato ma che è in grado di consigliare al principìcchio di visitare la Terra perché “Tena ‘na bella nnuminata”.
Così lo accompagniamo sul nostro bel pianeta. L’Africa è il continente che gli tocca in sorte. E poi l’incontro con la vipera e il deserto. Il giardino delle rose. La volpe che gli svela il segreto della vita “’E cose cchiù importanti ‘n se vìdanu ccu l’ùocchi” .
Fino all’epilogo finale quando vediamo ‘u principìcchiu inghiottito lentamente e silenziosamente dalla sabbia “Un’avvia fattu mancu ‘na picca e rumure dintra a rina” e trepidiamo tutti e ci consoliamo nella chiosa finale che suona come una preghiera di padre “[…] ‘Un mi lassate ‘ccussì triste: scrivìtimi sùbbitu ch’u principìcchiu s’è ricùotu…”
Perché ogni volta che un testo (poetico) scritto viene detto, i suoi significati si smuovono, diventano vita attraverso le variazioni timbriche della voce, toni aspri e disuguali o dolci e persuasivi, crescendo smorzati o sussurri reiterati laddove la parola assume un senso pieno, carico di significato, allusivo, composito, profondo di pensiero e di emozione.
Da qui l’unanime consenso per questa versione poetica di Lindo Nudo elaborata con rigore filologico che arricchisce la schiera di piccoli principi vernacolari, anche perché può rappresentare un modello di risposta alla condizione/coscienza di vuoto, isolamento, depauperamento non solo socio-economico del Sud e il tentativo – drammaturgicamente riuscito – di riscatto da ogni soggezione o complesso di colpa o di inferiorità facendo assurgere a dignità letteraria la (sempre) vituperata lingua calabrese.
Giovanna Villella
[ph Aldo Tomaino]