venezia.74, pt.8: AMMORE E MALAVITA
3 min di letturaNoi l’abbiamo sempre saputo, di cosa erano capaci i Mainetti.
Forse non proprio con Zora La Vampira (in questo c’ha visto lungo Carlo Verdone, che il film l’ha prodotto e ci ha pure recitato), ma subito dopo con Piano 17 è stato chiaro che eravamo davanti a due registi, anzi a due autori, di grande talento ingiustamente trascurati dall’industria.
Storie ad orologeria (Piano 17, appunto), immaginario cinematografico un po’ naif e un po’ kitsch (Paura 3D) ma sempre preciso e appassionato, personaggi a tutto tondo che dalla macchietta riuscivano a tirare fuori l’emozione; e poi al Lido, nella sezione collaterale più sperimentale, quell’Arrivo di Wang che apriva alla fantascienza all’italiana (ma in pochi se ne sono accorti, in tanti l’hanno dimenticato). Song’e Napule aveva fatto scattare qualche campanello d’allarme, ma ora Ammore e Malavita è arrivato per confermare il talento anarchico e liberatorio di questi due fratelli che tanto vicini sembrano ai Coen, altri protagonisti a questa venezia.74 insieme alla loro sceneggiatura data al capolavoro di Clooney Suburbicon.
Anarchici, si: perché loro usano il genere (e anche la tv, se è per questo) per infilarci dentro la loro passione tutta mediterranea per un cinema fatto di carne e sangue, attori ed emozione, senza preoccuparsi di abbondare con i cliché -se servono, li usano e li rendono belli- né tantomeno dei canoni tradizionali del racconto. Qui infatti siamo davanti ad una simil sceneggiata- thriller-dramma, che non rispetta le regole di nessuno di questi generi eppure tutti li contiene e tutti li abbellisce. Eppure nel cuore Ammore e Malavita è, a tutti gli effetti, un musical napoletano, dove gli attori mentre recitano iniziano a cantare: Pivio & Aldo De Scalzi scrivono testi e musiche, Luca Tommassini (uno dei nostri talenti più grandi osannato all’estero) cura le coreografie dei balletti, ai Manetti non resta che dirigere una storia che pure se non porta a compimenti ogni risvolto narrativo, nonostante qualche sbavatura riesce anzi a trasformare i suoi difetti in punti di forza. Serviti benissimo da un cast eccellente. Da Gianpaolo Morelli, che solo loro riescono a trasformare in un attore vero, a Carlo Buccirosso e Claudia Gerini, coppia esplosiva, giù giù fino a tutti coloro che compongono questo ritratto sulfureo e divertito di Napoli, riuscendo a restituirne la realtà senza però -e qui sta l’intuizione più forte di base- cadere nel facilissimo e rischiosissimo canone documentaristico sull’argomento. Di Napoli, al cinema e non solo, tutti hanno voluto e a volte saputo raccontare qualcosa: i Manetti, romani, sanno dipingerne l’umanità e la vita più vera senza mai scavare nel pietismo, senza mai concedere nulla alla tristezza. Ammore e Malavita è un film profondamente d’autore non rinunciando alla sua vena più sinceramente pop, in mezzo ad un citazionismo divertente e sfrenato e portatore sano di un’idea di cinema (e di un Cinema) attraversata da stile, personalità e intelligenza.
Subito cultissimo.
p.s.: si, quella in copertina è Cristiana Capotondi sul red carpet di Venezia 74 con un seno di fuori. Dimostrazione vivente che non basta una tetta nuda per avere sex appeal: le mele che ho mangiato ieri ne avevano di più.
GianLorenzo Franzì’