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Marcello Vitale: magistrato antimafia, scrittore e orgoglio lametino

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Marcello Vitale - Lameziatermeit

Gatto e Vitale

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L’intervista

Ieri, su Il Quotidiano del Sud (Cronaca di Lamezia), a firma del giornalista Antonio Gatto (nostro direttore di LameziaTerme.it), è stata pubblicata una interessante e dettagliata intervista al Magistrato lametino Marcello Vitale che vi riproponiamo in integrale.

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Tra i personaggi più famosi della nostra città vi è sicuramente il dottor Marcello Vitale, celebre Magistrato che non ha bisogno di presentazioni ma anche stimato scrittore. Nonostante la sua ormai stabile residenza a Roma, Vitale torna spesso (impegni permettendo) nella sua Lamezia senza perdere mai occasione per apprezzarne le risorse umane e naturali.

Dottor Vitale, la sua vita è stata caratterizzata dal Diritto e dalla Letteratura: Lei si sente più Magistrato o Scrittore?

Sono e mi sento tanto magistrato che scrittore. L’uomo è un “unicum” anche quando si presenta con facce diverse: “Uno, Nessuno e Centomila” dice il nostro Pirandello, o “Una Sola Moltitudine” afferma il poeta portoghese Fernando Pessoa.

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I suoi primi anni da magistrato li ha vissuti tra Lamezia e Catanzaro, poi l’apice del successo prima a Torino e dopo a Roma: qual è il periodo della sua carriera che ricorda con maggiore piacere e quale, invece, è stato quello più difficoltoso?

Il periodo della mia attività di magistrato che ricordo con maggiore piacere, se così si può dire, è stato quello iniziale a Torino. Ero molto giovane ed esplodeva la “contestazione studentesca” con le tumultuose rivendicazioni degli studenti, allora considerate di stampo innovativo ma che successivamente sono state effettivamente attuate. S’invocavano con spontaneismo giovanile riforme in materia di aborto, di divorzio, di uso degli anticoncezionali, per citarne solo qualcuna. Prendeva allora vigore il movimento femminile. Torino viveva a quei tempi il boom del “miracolo economico” e, nelle fabbriche Fiat del Lingotto e di Mirafiori, venivano assunte centinaia di migliaia di meridionali (tra i quali moltissimi calabresi) come operai addetti alle alienanti “catene di montaggio”. Accanto ai portoni dei palazzi spuntavano le locandine con la scritta:” Non fittasi ai meridionali”. Sull’argomento ho scritto un romanzo, Revolution, edito a Roma nel 2014 e ambientato appunto a Torino, che rievoca, tra l’altro, la mai risolta “questione meridionale”.

Non posso indicare invece il “periodo più difficoltoso” della mia lunga carriera di magistrato. Dappertutto le difficoltà non sono mancate e io ho fatto del mio meglio per superarle. Spero di esserci riuscito. Nello specifico, verso la fine degli anni ’90, da Procuratore della Repubblica di Lamezia Terme, ho contrastato con tutti i mezzi a mia disposizione il fenomeno mafioso, intensificando soprattutto l’adozione delle misure di prevenzione contro gli autori di odiosi delitti, operandone il sequestro dei beni: la lotta di contrasto alla criminalità organizzata raggiunge esiti maggiormente positivi quanto più si riesce a ridurne il potere economico che, specie in territori afflitti da povertà come quelli del Sud, corrompe non trascurabile parte del permeabile tessuto sociale. Da Procuratore di Lamezia, pubblicai nel 2000, fondendo così la mia veste di magistrato con quella di scrittore, un libro attraverso il quale cercai di contenere il preoccupante fenomeno dell’omertà: “Canti sciolti e ballate per i morti di ‘ndrina e di mafia”. Le ballate si occupavano, oltre che delle uccisioni di Falcone, Borsellino etc., anche di quelle dei tanti lametini caduti sul fronte del dovere: gli spazzini Tramonte Francesco e Cristiano Pasquale, i coniugi Aversa e il magistrato Francesco Ferlaino. Il testo fu presentato varie volte (in diverse città italiane, tra cui Firenze e Napoli) da tanti illustri personaggi fra i quali il Procuratore Nazionale Antimafia pro tempore Pier Luigi Vigna. Fu una pagina importante per Lamezia Terme (dal locale teatro comunale “Pidocchietto”, dove il libro fu per prima presentato, partì la mia campagna antimafia che si estese in buona parte del territorio nazionale) e dell’evento si conserva ancora memoria.

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La Magistratura è uno dei tre poteri dello stato, forse il più importante: ma c’è qualcosa che cambierebbe all’interno della Magistratura stessa?

L’art. 101 della Costituzione Italiana stabilisce che la “magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, così codificando il fondamentale principio dell’indipendenza della stessa. Il discorso in materia è lungo e non basterebbe un libro intero per esaurire l’argomento. 

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Mi limito a dire che io abolirei il sistema delle “correnti” dell’Associazione Nazionale Magistrati determinanti l’elezione dei loro rappresentanti nel seno del Consiglio Superiore della Magistratura. Le “correnti” sono infatti percepite, spesso a buon ragione, dalla gente qualsiasi e anche da tanti studiosi del diritto, come veri e propri partitini affetti da consociativismo. Il che in qualche modo finisce per abbassare il livello di “credibilità” del giudice e della sua effettiva indipendenza costituzionalmente garantita.

Dicevamo, non solo Magistrato, anche Scrittore: cos’è per Lei la Letteratura e qual è il valore che le attribuisce?

Ho scritto molto: a tutt’oggi otto libri di poesie e due di narrativa (“Revolution” e “La donna della panchina”).
Tralasciando la visione “estetica” crociana della letteratura, per me questa è essenzialmente frutto dell’aspirazione dell’uomo autore a fissare sulla pagina scritta, ad uso e consumo del lettore, i dati esperienziali e culturali dal suo sé metabolizzati nell’arco dell’esistenza. Insomma è un “servizio”, spesso con trasposizione sublimata di quei dati originari messo a disposizione del prossimo.

Questo però vale per la narrativa, la saggistica et similia; molto meno per la poesia che presenta una sua specifica “quiddità” che sfugge ad ogni tentativo di catalogazione concettuale.
In certo qual senso tutto ciò che si scrive è autobiografico, non perché i fatti descritti siano sempre storicamente avvenuti, ma perché quanto meno sono state realmente vissute quelle “sensazioni”, quelle “atmosfere emozionali” poi dall’autore travasate nei fatti narrati.

Sono numerose le opere da Lei realizzate: cosa cerca di trasmettere attraverso i suoi scritti?

Nelle mie opere cerco appunto di trasfondere, nel senso dianzi specificato, le mie esperienze umane e culturali. In magistratura peraltro, specie nel campo penale, le esperienze umane non mancano.

Ad un uomo dalla sua esperienza, infine, non si può che chiedere: qual è il consiglio che si sente di dare ai giovani ed alle nuove generazioni?

In genere non do consigli, che lasciano il tempo che trovano. Soprattutto quei consigli ispirati dai vieti paternalismi, moralismi ed altri “…ismi” imperversanti da sempre e che dalle vecchie generazioni (ma non mancano casi più recenti) sono stati adoperati per asservire le “masse” specie giovanili. Anche la “ndrangheta” da “consigli”, non certo disinteressati, anzi! Che non sono assolutamente da seguire!

Suggerirei comunque ai giovani di conoscere a fondo se stessi interpretando al meglio le proprie vocazioni, di lottare per poterle realizzare senza arrendersi mai, però sapendo che non esistono, per raggiungere la meta, comode scorciatoie: occorre camminare con tenacia lungo un percorso faticoso, rimboccandosi spesso le maniche.

Antonio Gatto

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