Uniter: Il ruolo della musica nel campo di internamento di Ferramonti di Tarsia (CS)
3 min di letturaPresentato il testo di Paola Testa “Il valzer Ferramonti. Suoni e voci da un campo di internamento Fascista”
La storia del campo di internamento di Ferramonti di Tarsia (Cosenza) ritorna alla ribalta nel libro “Il valzer Ferramonti. Suoni e voci da un campo di internamento fascista” della musicologa Paola Testa presentato nel corso di un incontro organizzato dall’Uniter, presieduta da Italo Leone.
Il libro trae il suo nucleo originario dalla tesi di laurea dell’autrice e da ricerche, fotografie, testimonianze di persone che direttamente o indirettamente vissero il dramma di almeno 4.000 ebrei stranieri che furono confinati nella terra paludosa e malarica di Ferramonti, tra il 1940 e il 1943, dalle leggi razziali fasciste emanate da Benito Mussolini nel 1938.
Nonostante la natura di luogo di detenzione con una struttura a baraccamenti e una recinzione sormontata da una linea di filo spinato, Ferramonti non fu un campo di sterminio come Auschwitz, Birkenau, Dachau, Mauthausen ed altri, ma un campo di internamento e di raccolta che rappresentò una sorta di salvezza per gli internati, essendo Ferramonti il primo campo liberato dalle truppe alleate nel 1943 e chiuso ufficialmente l’11 dicembre 1945.
All’interno del campo le condizioni di vita rimasero sempre umane nel rispetto della dignità degli internati che non furono mai vittime di violenza e né deportati nei lager della Germania. Gli unici deceduti furono vittime dei bombardamenti o di morte naturale.
Godettero sempre della libertà di organizzarsi eleggendo propri rappresentanti, di avere una infermeria con annessa una farmacia, una scuola, un asilo, una biblioteca, un teatro e dei propri luoghi di culto tra cui due sinagoghe, una cappella cattolica e un’altra greco-ortodossa e fu concesso loro di lavorare al di fuori del campo per integrare le scarse razioni alimentari e vendere i propri prodotti.
Grande fu l’opera di umanizzazione verso le condizioni di vita degli internati soprattutto da parte di Paolo Salvatore, del padre cappuccino Callisto Lopinot e del maresciallo del campo Gaetano Marrani, ricordati con immenso affetto dagli internati.
Paola Testa sottolinea nel libro l’importanza del ruolo della musica nel campo dove molti cantanti, pianisti, direttori d’orchestra, compositori, fisarmonicisti, violinisti, chitarristi svolgevano la loro attività alla luce del sole alleviando le sofferenze dei reclusi dovute alla prigionia forzata.
«Alcuni – ha commentato Paola Testa – poi diventarono celebri come il pianista Sigbert Steinfeld e il trombettista Oscar Klein lasciando una produzione che spazia dalla musica strumentale a quella liturgica, a quella classica e al cabaret». In una baracca, adibita a sala della musica, i musicisti tenevano addirittura delle serate di intrattenimento suonando il pianoforte a coda, fatto arrivare in modo rocambolesco da Cosenza, fisarmoniche scampate alle perquisizioni, chitarre, violini tra cui uno di noce trafugato dal Teatro Rendano di Cosenza.
Così nel campo della sofferenza circolavano le melodie viennesi degli anni ’30 come il Valzer di Ferramonti o si tenevano concerti, incentrati su brani che esprimevano il dolore del mondo o la speranza come quelli del coro di Ferramonti, diretto da Lav Mirski, che animava le celebrazioni religiose. La musica si traduceva per gli internati in un segno di speranza anche se limitati nella libertà personale.
LINA LATELLI NUCIFERO