Lingue e linguacce a Stasera CasaMika
6 min di letturaLuciana Littizzetto e Mika, due leader a tele-confronto: lei, la comica più dissacrante e amata d’Italia; lui, il divo di Grace Kelly, col suo pop «caleidoscopico» venato di dance.
Tema della serata: Il dialetto. Premesso che il vernacolo è come una spugna che assorbe fatti, episodi, luoghi, persone e che restituisce fatti, episodi, luoghi, persone con un Social-Facebook più reale che virtuale, urge, in scienza e coscienza, recuperare questo patrimonio in tutta la sua ricchezza, varietà, bellezza e significato.
……
“Io vengo dal basso, come basse sono la mia lingua e il mio metro e mezzo di statura, esordisce l’attrice dopo la sigla di apertura. Incrociando l’interlocutore in uno sguardo di gioiosa complicità: “Quand le furmije a fan la procession, ël temp a l’é pì nen bon” (Quando le formiche camminano in processione, il tempo deve guastarsi, espressione sottotitolata in simultanea a pagina 777 di Televideo). Mi hanno insegnato tutto i miei genitori, che erano lattai.E nonna Lucia, che gestiva da sola una trattoria in campagna e spaccava le noci con le gengive. Sono orgogliosa dei miei Natali, non ho mai provato alcun senso di inferiorità, anche se, quando sento Carlo Verdone raccontare che in casa sua entravano uomini come Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini, dico: “Cavoli, chissà che bello crescere in un ambiente così colto”.
Mika (con anima amica, di chi simpaticamente si mostra empatico, le sorride cantando):
«Si nu te scerri mai de le radici ca tieni
rispetti puru quidde te li paisi lontani,
si nu te scerri mai te du ete ca sta ieni
dai chiù valore alla cultura ca tieni».
«Se non dimentichi mai le tue radici
rispetti anche quelle dei paesi lontani,
se non scordi mai da dove vieni
dai più valore alla tua cultura».
Luciana Littizzetto (allungando la cervice da giraffa mancata): Senti, Avatar (sfilando un panegirico arrotolato), che tempo fa lassù? Si respire meglio ad alta quota? Beh, ascolta, cade a fagiolo proprio per te il mio De Amicis, che non esito a leggerti in questo momento.
Mika: Lucy, io e te, siamo già amici!
Luciana Littizzetto (inzolfandosi): Urca, parlo di De Amicis, che è uno scrittore piemontese! E poi dài della Lucy a qualcun’altra. Io sono la prima donna di questo studio, non una primitiva, sia inteso!
Mika: Però, non amo i fagioli! Sai, ho qualche intolleranza alimentare!
Luciana Littizzetto: Senti, è un modo di dire, e se ora non mi senti per bene, passo al modo di dartele!( Facendosi, poi, serissima). Italiani e non solo, non soli, Ius soli, beh, mi sto confondendo! Prendi le distanze da me (urlandogli contro), che mi fai sbulinare la mente! Dicevo o meglio volevo dirvi: oggi intendo parlarvi di un patrimonio, Urbi et Orbi.
Mika: Un matrimonio, hai detto??!!Un evento del secolo, mi sembra di capire!
Luciana Littizzetto (silurandolo con lo sguardo): La Rai, con uno come te,mi ha proprio messo nei guai! Devo proprio partire dall’abbiccì con questo Lord. Non fa nulla! Piuttosto, così facciamo prima, so che tu sei un plurilinguista e non potevi non esserlo, da uomo di mondo che sei, (scompigliandogli i capelli) Amore amico, mica Amico amore, Mika!
Mika (espirando un’esclamazione di imbarazzo e compiacimento): Non so cosa tu abbia detto. Comunque, parlo fluentemente inglese, francese e italiano: ho studiato cinese per nove anni, e conosco anche spagnolo, arabo e il dialetto libanese.
Luciana Littizzetto (fumando come una locomotiva a vapore): Allora sei proprio un tarocco! Una torre (di Babele)! Ma non conosci il piemontese, quindi, fatti tutto orecchi, adesso!
E mentre Mika ostenta delle simpatiche orecchie a sventola, la Littizzetto, in una linguaccia di tutta risposta, inizia il suo sermone. La Bella e la Bestia. Favole postmoderne.
INCONTRO A DUE FRA IL DIALETTO PIEMONTESE E LA LINGUA,
COME NOI!!!
(Il dialetto è il piemontese; ma il dialogo può star benissimo con qualunque altra parlata d’Italia, all’infuori di questo simpaticone, che mi è accanto, e che è comunque meglio di una bolletta di Equitalia).
LA LINGUA. – Buongiorno, fratello. Tu hai la cera rannuvolata.
IL DIALETTO. – Me la vedo come in uno specchio, Signora, e mi duole di presentarmi a Voi in quest’aspetto.
L. – Perché mi chiami Signora? Altre volte ti dissi che mi piace esser chiamata sorella. La fortuna e la gloria non m’hanno fatto montare in superbia. Non siamo, tu ed io, rami dello stesso tronco? figliuoli della stessa madre? legati ancora e per sempre da mille somiglianze e proprietà comuni, dalle quali lo straniero riconosce in noi, a primo aspetto, il comun sangue latino? Che cosa t’affanna, fratello.
D. – Ti ringrazio, sorella illustre e venerata. (Scattando) Ma è proprio questo pensiero che mi fa stizzire: d’aver che fare con una razza d’ingrati, i quali, disconoscendo i vincoli che mi legano a te, credono di farti onore disprezzandomi, e, parlando e scrivendo italiano, rifiutano un monte di parole e di frasi mie come se fossero barbare per il solo fatto d’esser mie, e vanno predicando ai ragazzi che, per non offenderti, debbono rifuggir da me come dalla peste bubbonica.
L. – Lo so
D. – E che ne dici?
L. – Confòrtati. Mi fanno sovente la stessa lagnanza i tuoi fratelli. E scrisse pure un grande maestro che ogni italiano, per imparar la lingua, la dovrebbe studiare tenendo tanto d’occhi aperti sul proprio dialetto; con che volle dire che v’è in ciascun dialetto una grande quantità di modi e costrutti comuni alla lingua; conoscendo i quali, ed usandoli, riuscirebbero tutti ad esprimersi in italiano con assai più facilità ed efficacia che ora non facciano, poiché a quelle forme che si presentano loro spontanee, ed essi rifiutano come puramente vernacole, ne sostituiscono altre quasi sempre men naturali, appunto perché cercate, e meno proprie, perché meno naturali.
D. – Ecco la gran verità, sii benedetta! Mi disprezzano per onorarti, e offendono te, disprezzandomi; mi fuggono come un nemico, quando si potrebbero giovare di me come d’un maestro.
L. – Ma il tempo vi renderà giustizia, non dubitare. Ti sarà reso l’onore che meriti, e saranno lamentati gli oltraggi che ora ti si recano, e si trarrà da te forza, vita, colore, varietà, comicità, naturalezza, per parlare e per scrivere italianamente.
D. – M’hai racconsolato. Ti ringrazio…. e ti riverisco, Signora.
L. – Chiamami sorella.
D. – Sorella ti posso chiamare nel corso dei nostri colloqui; ma non presentandomi a te, né accomiatandomi. Nell’atto di salutarti, il mio amor fraterno è sovrappreso da un senso di riverenza. Dietro di te, vedo Dante.
La conduttrice fa gli occhi lucidi, lei, una fiera torinese doc. Lui le fa un inchino anglosassone, dandole teneramente un pizzicotto sul viso.
Mika: Il dialetto è come i nostri sogni, qualcosa di remoto e di rivelatore; come patrimonio immateriale di ogni cittadinanza è la testimonianza più viva della nostra storia, ma anche l’espressione della più bella fantasia (Federico Fellini).
Luciana Littizzetto: Dì la verità, fa parte del tuo copione quanto hai detto, vero, Zuccone?
Mika (sghignazzando come un elfo dispettoso): A dire il vero, l’ho storpiato un pò, ma è quanto penso pure io. E poi, in ogni street performance, il colore dei luoghi, che visito, suona a musica per le mie orecchie!
Luciana Littizzetto: Ma che musica, Maestro! Meglio del testo della Carrà! (Rivolgendosi al pubblico serissimamente in tono di tiritera) Oggi, come per tante specie viventi animali e vegetali, ogni anno scompaiono tantissimi dialetti e il mondo si impoverisce, si semplifica, si uniforma, diventando sempre più monocorde. Il mondo ha bisogno di versi, e non parlo di zoo, ma di tanta poesia cittadina, che erroneamente stiamo cementando sotto le nostre suole. Scarpe diem, Italia nostra!
Mika: Ben detto (carezzandola), “Stat’v bun, uagnù” (accomiatandosi da tutti insieme a lei)!
……
Come dar loro del torto? E’ assodata la forza espressiva e descrittiva che scaturisce dal verismo di ogni parlata locale. Quale strumento migliore può esprimere sentimenti, valori, culture, speranze per ripercorrere i sentieri di una memoria, drasticamente inquinata da tante disattenzioni?
Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Prof. Francesco Polopoli