Inchiodati alle lingue antiche: l’Epifania della Croce
3 min di letturaConsummatum est. Non tutto: però! Il braccio verticale del supplizio divino si fa indicazione di senso nella sigla di un dispregio per fregio: INRI [Iniziali dell’iscrizione Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum «Gesù Nazareno Re dei Giudei», che, secondo i Vangeli, fu fatta mettere da Pilato sulla croce di Cristo, in tre lingue (ebraico, greco, latino)].
Giustificata per iscritto l’assenza dell’aramaico, perché lingua del popolo, benché masticata da Gesù nella predicazione: talita qum (Mc 5,41), corbàn (Mc, 7,11), effetha (Mc, 7,34), geenna (Mc, 9,43), abbà (mc 14,35), Eloi, Eloi, lema sabactani? (Mc 15,34), quell’insegna grida ancora oggi al recupero di una tradizione che, perduta, sarebbe l’ennesimo tradimento di Giuda della modernità.
Per comprendere l’uomo, bisogna partire dal linguaggio, soleva dire Heidegger: quale Passione può essere invocata più di questa che, insieme, è Sacrificio ed Alimento?
Che il Verbo ci restituisca a noi stessi, allora! Strada facendo, Anas permettendo, proviamo a far tesoro della linguistica, che spesso è base di riflessioni trasversali:
Le parole sono più tenaci delle pietre. Dobbiamo auscultare il loro segreto come in una conchiglia l’eco di oceani abissali. Sono voci di popoli spenti, ma che come astri spenti continuano a mandare il loro messaggio di luce (G. Semerano).
Un esempio immediato? Guardiamo Femina ( voce lat. per “femmina”).
Nella pars costruens della ricostruzione etimologica la prima componenza della parola riporterebbe a fe-lare, succhiare, idea sottesa a lingue indeuropee contigue quali il sanscrito (dha-yàmi) ed il greco (thà-o) con il significato viciniore di poppare il latte. Sic stantibus rebus, la donna è colei che allatta, nel significato passivo dell’esecuzione, riconducibile al suffissoide –mina, continuatore della forma participiale greca –mene: e comunque sia, un mezzo, non una dimensione di essenza.
In quella destruens, fe-minus (dal lat. “fede minore”), come argomentato nel Malleus Maleficarum, connoterebbe, invece, una mozione di sfiducia nei confronti del gentil sesso, impostore e falso per natura.
Ancora: Femina corrisponde ad ebr. ʾemm, accad. umm (madre) con incrocio della base corrispondente ad accad. pēmu (coscia): si pensi alle preistoriche rappresentazioni plastiche della femminilità, alle Veneri callipigie, dai glutei sporgenti che sono il segno caratteristico della femmina.
Oggetto di desiderio minimamente sul versante dell’antropologia linguistica, mentre l’uomo, il vir, è non solo il virtuoso, ma è anche la vis, la forza vitale, colui al quale è assegnato il potere sulla vita, in una scala gerarchica che è deminutio capitis a danno del partner storico di sempre (G. Semerano, Le origini della cultura europea, Dizionario della lingua latina e di voci moderne, Vol. II, Firenze 2007).
Ora, non c’è rivoluzione sociale che non sia anche atteggiamento filologico, ovvero discernimento tra le parole.
Io credo che l’Antico ci aiuti sottilmente a percepire in profondità e che senza non si è capaci minimamente di definire un’essenza.
In che modo possiamo contrastare dei pregiudizi cementati nella grammatica dei significanti, se privati di una consapevolezza, che è figlia delle memorie?
Essenziale è un’idea che ha radici, per auspicare significati nuovi da riproporre per la convivenza umana.
A questo punto non ci resta che invocare ai piedi della Croce, per intercessione dello Spirito Santo, il dono delle lingue antiche, per rifondare nuovi scenari per il domani.
E sia Epifania, per tutti, di una più profonda antropologia!
Proposito post Befana!
Altrimenti, Cenere e carbone!
Prof. Francesco Polopoli