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Il ricordo è sempre un pò più rosa

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A LETTO DOPO CAROSELLO: recensione e intervista a Michela Andreozzi

 

È andata in scena al Teatro Grandinetti Michela Andreozzi, bella e brava, con il suo spettacolo A Letto Dopo Carosello, nuovo tassello della rassegna Vacantiandu 2018.

La Andreozzi è uno di quei volti comici ben impressi in una larg(hissim)a fetta di pubblico per la sua lunga militanza in tv all’interno di Zelig, Quelli che il Calcio e Bigodini, oltre che numerose fiction e film su grande schermo. Non stupisce quindi l’enorme carisma e l’indiscussa presenza scenica della bella Michela, che pur non contando su una vistosa possanza fisica riesce ad essere dominatrice del palco per tutti i 90’ minuti di durata di quella che è l’ultima replica di uno spettacolo che si ferma, per ora, dopo ben sette anni.

LA STORIA DELLA STORIA

A Letto Dopo Carosello sta lì a ricordarci l’Italia del trentennio ‘60/’80, un’Italia vicina ma diversissima e paradossalmente più semplice e leggera, (forse) proprio perché sull’orlo dei numerosi cambiamenti sociali, politici e culturali a cui stava andando incontro. Se nei Settanta la recessione aveva un po’ slabbrato le abitudini di vita di tutte quelle famiglie magari anche reduci del boom degli anni ’50, sull’inizio del decennio successivo una nuova ripresa avrebbe scosso la popolazione: un quadro di ripresa, di positività dopo l’ennesima depressione, accompagnato dal lancio di numerosi nuovi prodotti commerciali e di nuove abitudini di vita, fattori che contribuirono a favorire l’inserimento del nostro paese in una condizione molto competitiva sul mercato internazionale.

È questo l’inquadramento storico necessario per capire a fondo le radici culturali ed emotive anche del Carosello, quel particolare e ormai leggendario ‘format’ pubblicitario che la Andreozzi racconta con ironia e affetto, dolce e sempre presente compagno della sua infanzia e poi adolescenza.

LO SPETTACOLO

Il testo ha l’intelligenza di collegare i numerosi jingle musicali con ricordi personali della protagonista, favorendo lo scivolo in un’atmosfera di complicità rilassata, consapevole e autoironica: il sorriso di Michela è sempre, alla fine, malinconico, pure se, quando sottolinea le -abissali- differenze delle gioventù di ieri e di oggi attraverso anche l’utilizzo di “oggetti magici” come la caramella Rossana, il giradischi e la bicicletta Graziella, tira troppo la corda con quel gioco di ripescaggio vintage che almeno da Anima Mia (il contenitore di Baglioni-Fazio) in poi ha trasformato e a volte trasfigurato quel trentennio italiano in un’epoca da favola.

Ed è forse questo il moderato limite dello spettacolo, per avere un testo e una trama “verticale” fin troppo esile nonostante l’enorme bravura di Michela, dotata finanche di una splendida voce (forse non tutti sanno che era lei il playback di numerose canzoni di Non E’ La Rai) e bravissima a divincolarsi fra sorriso e pianto, sempre padrona del limite di una comicità sobria e mai invasiva che non sbraca mai nel volgare, ma forse solo nel deja vu.

Certo è che la carrellata di ricordi coinvolge e fa ridere non poco, e che la Andreozzi omaggia sentitamente le icone dell’epoca (Carrà, Panelli, Sandra & Raimondo, ma soprattutto Franca Valeri) pur se a tratti il dialogo diventa troppo stretto tra chi certe cose le conosce e chi no, eludendo ogni possibilità di allargarne gli orizzonti.

A Letto Dopo Carosello rimane comunque un’importante ma soprattutto sentita testimonianza di anni nei quali, almeno nel colore rosa del ricordo, l’umanità regnava sovrana, sgretolata da lì a poco da una tecnologia invasiva e dominante.

L’INTERVISTA

Il Carosello ha determinato e dominato una piccola parte della mia infanzia– ci ha confidato Michela Andreozzi, – e la frase ‘vai a letto dopo Carosello’ vale per la mia generazione, per quelli più grandi di me, ma anche per tutti quelli che oggi vedono in tv d’estate il programma TECHETE’, che rimanda repliche appunto del glorioso Carosello. Lo spettacolo parla della mia infanzia: io sono cresciuta a pane e televisione, in una generazione predigitalizzata con cartoni animati e Topo Gigio, ma spero che parli quindi un po’ di tutte le infanzie, perché cambiano i modelli di riferimento ma l’infanzia resta quella! Insomma, è una Madeline per fare un viaggio nel passato comicissimo e molto tenero, che fa ricordare a chi c’era e conoscere a chi non c’era

Michela è laureata in lettere e filosofia, attrice di teatro, sceneggiatrice e regista di cinema (ha debuttato con successo pochi mesi fa, con lusinghiero successo di critica, con Nove Lune E Mezzo, opera prima dietro la macchina da presa per la sperimentale e coraggiosa Vision Distribuzione): è normale quindi chiedere la sua opinione sul fatto che la televisione, specie quella di una volta, e il cinema in egual misura, hanno probabilmente talmente influito sul linguaggio e sulla comunicazione da essere ormai entrati a far parte del nostro dna.

Credo proprio di si. sono rimasti come dici tu dei pezzettini di dna dai quali no ci sganceremo mai, è nell’inconscio collettivo degli italiani. Pensa che anche i figli di quelli che hanno vissuto in una certa epoca hanno dei modi di dire che si rifanno a quei riferimenti lì.

Non sta a noi giudicare la televisione di adesso, ma una volta la comunicazione era forse più ragionata e studiata rispetto ad adesso? O forse era solo perché la tv era all’inizio e tutto quello che da lì usciva riempiva gli stati d’animo e i modi di fare? “Secondo me è una questione di sofisticazione, cioè le prime pubblicità erano totalmente naif, erano degli archetipi. Negli anni ’60 la gente, o almeno alcune persone, venivano edotte proprio in tv anzi dalla tv con un professore d’italiano. La pubblicità degli anni ’60-’70 era fatta con lo scalpello per rimanere, mentre adesso viene prima il personaggio, l’attore, che la storia. Una volta, se pensi, c’era Vianello, Tognazzi, che declinavano tantissimi personaggi per raccontare un prodotto; oggi invece tutto viene ritagliato sull’interprete, non è questo che si mette al servizio dello spot. Era insomma una pubblicità legata a dei bisogni primari. Meno sofisticata.

GianLorenzo Franzì

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