Di feticismo e sofismi
4 min di letturaOvvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la roba vecchia
“So di non sapere”, diceva qualcuno qualche anno fa. Sarà il tempo trascorso nel frattempo, sarà che chi l’ha detto non era italiano (prima gli italiani, eh) e quindi non si capisce bene la lingua e qualcosa va perso nella traduzione; sta di fatto che oggi una nobile classe politica letterata e colta cerca di nobilitare giustamente il proprio operato con il detto socratico, ma la cosa non riesce.
UNA STORIA
Nel 2011 viene fondato a Roma un Comitato autonomo che intendeva mappare gli spazi inutilizzati e degradati della città da poter convertire in realtà culturali per i giovani, e nella lista figuravano ex caserme e vecchi cinema, soprattutto in centro. Si puntò anche sul Cinema America, dove la grave situazione di sporcizia e impraticabilità stava diventando l’alibi per autorizzarne la conversione in qualcosa di più redditizio ma meno culturale. Difronte ai divieti burocratici, nel novembre 2012 scatta l’occupazione, andata avanti fino al settembre 2014: due anni in cui gli occupanti hanno ripulito la sala, riacceso il vecchio schermi, iniziato a (ri)definire la loro idea di spazio consacrato alla cultura. Il cinema venne allora messo al vaglio delle istituzioni competenti, con la sua iscrizione nella lista degli stabili vincolati dai Beni Culturali, e viene quindi costituita l’Associazione Piccolo Cinema America, con un piccolo quartier generale in Piazza San Cosimato.
Quando quindi il mercato della piazza chiudeva le saracinesche, invece del buio si accendevano le luci del maxischermi montato la mattina e smontato la sera, per questioni di permessi. Nel 2015, arriva quindi la concessione di suolo pubblico. Che oggi sembra non bastare più.
LA PETIZIONE
Nonostante il via libera dell’allora sindaco Marino prima, del commissario Francesco Paolo Tronca poi, e di Virginia Raggi alla fine, viene però chiesta la riduzione dei giorni di proiezione: erano 60, ma disturbavano. Lo diceva una petizione firmata da 22 residenti sui 3.063 complessivi che abitano nei pressi (tra cui Gemma Guerrini, ex vicepresidente della commissione cultura di Roma Capitale), i quali non riuscivano a dormire. Il parere di Questura, Asl e Polizia Municipale, ahimè, dà però ragione ai ragazzi del Cinema America, e la programmazione era rimasta a due mesi. Offrendo nel 2017 a ben 90.000 ospiti la possibilità di vedere film di qualità -il cosiddetto cinema d’essai- senza pagare una lira, perché le proiezioni erano gratis, in quanto la Regione finanziava il progetto con € 45.000, insieme a MibAct e BNL. Fermo restando che la piazza resta libera, godibile e sfruttabile per tutto il giorno: perché il solo schermo restava montato, mentre tutto il resta veniva messo la sera e smontato a mezzanotte, offrendo la piazza libera e pulita per il mercato rionale.
IL CAPPELLO
Cosa succede allora a rompere l’equilibrio creato, a favore esclusivamente della popolazione? La giunta Virginia Raggi pensa sia meglio “mettere il cappello” sulla rassegna, includendola nell’Estate Romana e quindi incasellando le attività della rassegna di S. Cosimato in un bando, mettendone a gara la conduzione: chi vince vince, quindi, ben consapevoli dell’impossibilità di manipolazione di bandi e concorsi da parte delle incorruttibili Alte Sfere amministrative, romane e non.
IL FETICISMO
Ed arriviamo ad oggi. O meglio, a qualche giorno fa. Quando la su nominata Gemma decide di fare un’uscita su facebook per evidenziare la capacità di certa gente di sinistra di “manipolare il consenso, utilizzando la spettacolarizzazione de la feticizzazione della cultura come arma di distrazione di massa”, spiegando altresì che “la reiterata proiezione di vecchi film che hanno in comune solo il fatto di essere famosi è una forma di feticisimo”.
E rincara, spiegandosi meglio, affermando che “personalmente non so rispondere alla domanda di cosa ci sia di così altamente culturale nella riedizione di quei vecchi film”. Non sa. Eppure, fino alla sera del 20 febbraio 2018 quando si è dimessa sotto consiglio della Raggi -stesso partito di appartenenza-, era vicepresidente della commissione cultura di Roma, non un qualunque assessore di Monopoli.
Un bel “non so” che fa riecheggiare qualcosa di simile, accaduto non a Roma bensì a Torino ma sempre a febbraio, il 9 per l’esattezza: quando Giorgia Meloni ha manifestato fuori dal Museo Egizio in polemica perché considerava la promozione di sconto all’ingresso denominata Fortunato Chi Parla Arabo “razzista nei confronti degli italiani” (sic). E quando il direttore del museo le ha garbatamente spiegato che quella era solo una di tante promozioni, che serviva solo a far conoscere ai nuovi italiani le proprie radici culturali e non certo a discriminare nessuna minoranza e/o maggioranza, la Giorgia ha ammesso che no, “non lo sapevo”. Continuando però la sua crociata cercando altre armi.
NON SO, NON SAPEVO
Povero Socrate. Si, era lui a dire “io so di non sapere”: un non sapere simbolo di umiltà, di sprono per nuove conoscenze, di slancio per informarsi sul minimio indispensabile prima di andare a scrivere sui social o fare picchetti qualunquisti. Che oggi viene impunemente declinato (inconsapevolmente, intendiamoci: non è scritto da nessuna parte che Gemma o Giorgia volessero citare il filosofo greco) senza vergogna per la propria inadeguatezza, che parla e opina, pretende anzi di produrre consenso contro la cultura.
A me pare grave. Non so a voi.
GianLorenzo Franzì