Nella fossa dei leoni: Lamezia martire, come sant’Eufemia…
3 min di letturaNella chiesa di S. Giovanni Battista di Sant’Eufemia Vetere (Lamezia Terme), in una piccola teca posta nella parete alle spalle dell’altare, sono custodite alcune reliquie attribuite a Santa Eufemia di Calcedonia, sulla cui autenticità, a dire il vero, si occupò Domenico Maria Valensise con una scrupolosa indagine storica.
In un latino piuttosto grossolano, sommato ad assemblamenti morfologici scorretti, a mio parere non legati a ragioni di posizione grafica (almeno così non può essere giustificato il primo rigo, anche perché lo spazio che segue il segno di punteggiatura sarebbe stato più efficace ad occupare la congiunzione copulativa che, invece, si è aggregata all’aggettivo indefinito di numero plurale) sono esplicitate sin dall’inizio le reliquie di alcuni santi martiri: per Sant’Eufemia si fa riferimento al capo, per gli altri santi non si menzione alcuna. Le fonti, e su questo rimando ad un più puntuale contributo storico-locale, quello del professore Vincenzo Villella, attestano: “una testa d’argento con dentro una gran parte del capo di S. Eufemia Vergine e Martire e nel medesimo vaso, involto in una carta, un pezzo di osso et capelli della medesima Santa”.
Ma chi è Sant’Eufemia, sconosciuta ai più?
Eufemia nacque nella città di Calcedonia, in Bitinia. Essendo figlia di nobili (secondo la tradizione, i genitori erano Filofrone e Teodosia), ricevette una buona educazione, sempre secondo le regole di vita cristiane a cui la famiglia faceva riferimento. Durante la persecuzione di Diocleziano, a soli quindici anni, fu arrestata assieme ad altri quarantanove cristiani che avevano rifiutato di immolare una vittima ad una divinità pagana. Come gli altri fu torturata, ma restò sempre fedele ai suoi ideali spirituali rifiutando di compiere l’olocausto. Il 16 settembre del 303 (come attestano i Fasti vindobonenses priores) fu gettata nell’arena di Calcedonia tra i leoni. Secondo la tradizione, essi la uccisero ma, mangiatone la sola mano destra, rifiutarono di divorare il resto del corpo, intuendo la sua santità.
Martirio di Sant’Eufemia
Ora, alla luce di tutto ciò, l’immagine di questo martirio non fa che prolungarsi in una tensione gravida di speranze, così, forse romanticamente, mi piace pensarlo. E se la mano della Vergine sembra tesa a curare le ferite della nostra cittadella, sua consorella nel martirio, nella fossa dei leoni pare esserci racchiuso il coraggio del riscatto (attraverso l’esercizio di un eroismo che non fa rima col ricatto). Forza allora!
Una buona parola ce la dice pure lei: già Sant’Eufemia (da ευ /eu, “bene” e φημί/phemì, “parlare”, colei che parla bene o correttamente, etimologicamente parlando): della serie, restando sul solco classico, nomen omen….un nome ed un destino (per una destinazione, aggiungerei, che è educazione ai valori per riqualificare il nostro territorio).
Prof. Francesco Polopoli