Lamezia, presentato il libro della giornalista Giovanna Casadio
3 min di letturaLAMEZIA. Sicilia e Calabria, terre vicine non solo geograficamente. Terre che hanno in comune un passato di miti e leggende che resistono al tempo, che continuano a consolidare un’identità, quella rappresentazione che ancora oggi, pur con differenze, siciliani e calabresi continuano a proiettare di se stessi.
Sono questi i temi affrontati nel dibattito con la giornalista Giovanna Casadio a Lamezia Terme per presentare il suo ultimo libro “Dove si guarda è quello che siamo”, alla libreria “Tavella”, nell’ambito di un’iniziativa promossa dal blog di Ippolita Luzzo.
La Sicilia Occidentale, in particolare la città Trapani, con le sue storie, i suoi costumi, anche con quelle finzioni raccontate per “mascherare” la realtà, sono il leit motiv di un racconto che riporta la giornalista in una terra con la quale continua a coltivare un forte legame affettivo e in cui – ha sottolineato la cronista di “Repubblica” parlando al pubblico lametino – “mi colpisce drammaticamente il modo in cui la bellezza viene ferita e continua ad essere ferita. Basta gettare lo sguardo appena si arriva in aeroporto a Trapani, per vedere come l’eolico con le sue installazioni abbia ferito il paesaggio, e quindi riflettere sul business che c’è dietro”.
Passato e presente si intrecciano nel libro della Casadio che, attraverso le storie e gli aneddoti raccontati, tocca i temi della grande emigrazione italiana “che ha visto la Sicilia a cavallo tra ‘800 e ‘900 condividere con la Calabria il triste primato per numero di emigrati verso Paesi esteri” e anche “il tasso di analfabetismo più alto tra le regioni italiane”.
Tocca anche il tema della mafia, il libro della Casadio, non attraverso racconti di cronaca, ma dalla prospettiva delle persone in carne ed ossa, facendo emergere come “la piovra” entrava concretamente nella vita della comunità. E così trovano spazio nel racconto della giornalista l’uccisione del magistrato Giangiacomo Ciaccio Montalto, che segna un punto di svolta perché “la comunità comincia a capire che la mafia non faceva solo guerra al suo interno ma voleva il controllo di tutto”, e la strage di Pizzolungo del 1985, con l’attentato al magistrato Carlo Palermo e l’uccisione della giovane mamma Barbara Rizzo che stava accompagnando a scuola i suoi due figli di sei anni, Giuseppe e Salvatore.
A presentare il libro della Casadio, Gianni Speranza e Ippolita Luzzo che hanno messo in evidenza la capacità dell’autrice di dar vita a una narrazione nuova della Sicilia, che va oltre una semplice contrapposizione tra il la bellezza del passato e la negatività del presente, e in cui tanti sono gli elementi di contatto con la narrazione che la Calabria e i calabresi fanno di se stessi e del proprio passato, alla ricerca di una prospettiva diversa e migliore per il presente.