Pensaci, Giacomino ovvero la terribile tentazione della bontà
4 min di letturaContinua la prestigiosa rassegna teatrale organizzata da AMA Calabria al Teatro Comunale di Catanzaro con un altro spettacolo di assoluto valore Pensaci, Giacomino di Luigi Pirandello con Leo Gullotta, lettura drammaturgica e regia di Fabio Grossi.
Un grande telo dipinto che ricorda nel ductus e nelle cromie l’espressionismo tedesco ma anche la pittura di Massimo Campigli con figure di uomini e donne disposte con rito quasi scritturale e prigionieri della loro medesima ieraticità. Buio. E dal buio si leva un vociare, un coro di donnette pettegole e ciarliere… Si alza il telo e le figure dipinte abitano la scena sotto forma di sagome cartonate che smaterializzano la fisicità dei corpi degli attori, sezionati e stampati in ombre evanescenti che fiancheggiano dai bordi gli interpreti reali a ricordare che la calunnia è sempre in agguato.
Inizia così questa bella e originale lettura drammaturgica di Fabio Grossi di una delle opere più dirompenti e dissacranti del repertorio pirandelliano se, con un salto temporale, da spettatori del XXI secolo riusciamo a trasferirci nel 1916 al Teatro Nazionale di Roma quando la Compagnia di Angelo Musco la portò in scena per la prima volta in dialetto siciliano.
Ed è un immenso Leo Gullotta a dare corpo e voce ad Agostino Toti, il vecchio professore di Storia naturale in un ginnasio di provincia che sposa la figlia del bidello pur sapendola innamorata d Giacomino, dal quale attende un figlio. Il gesto di Toti è fortemente provocatorio perché nega il valore di molti codici: il pregiudizio dell’età che non permette a un vecchio di sposare una fanciulla, quello dell’infedeltà coniugale perché Toti permette a Giacomino di frequentare la moglie che è sua solo legalmente; quello della roba in quanto la moglie e il figlio non “appartengono” al protagonista e infine quello della disparità di classe perché lui è un borghese e lei una sottoproletaria. Così facendo, mentre si prepara al viaggio finale nel pianeta della vecchiaia, Toti rivendica il suo diritto alla felicità per riscattare una vita di solitudine e di umiliazioni. Felicità che gli deriva dall’occuparsi degli altri e non solo di se stesso.
Gullotta, in una interpretazione misurata e potente, che oscilla con estrema naturalezza dal registro comico a quello drammatico, è un canuto e generoso angelo terreno dall’aria un po’ sorniona che con candore volteriano e sottile arguzia psicologica riesce a dire verità inudibili dai falsi perbenisti che lo circondano. Egli ama la provocazione ma è anche attratto, da professore di Scienze qual è, dalla morale naturale che è al di sopra delle regole di vita volute dagli uomini. Sono gli altri che non sopportano la situazione: la moglie, Giacomino, i suoceri, il preside… Toti non chiede altro che di vivere la sua vita accanto al bambino di cui è diventato padre e nonno. Un bambino circondato da mille attenzioni e dove quella famiglia di Teddy Bear bellamente schierata sul divano buono diventa, per il professore, il simbolo della propria infanzia negata. Dietro la sua indole serena si cela la figura di un dissidente “sociale”, fautore ante litteram di quella famiglia “allungata” (secondo la felice definizione di Fulvio Scaparro) e per difenderla dal pericolo di disgregazione sa diventare duro, violento, inflessibile ricattando e convincendo Giacomino – che sta per abbandonare la madre del bambino – con un discorso lucido e persuasivo affinché, nel nome della legge di natura, quella famiglia si mantenga unita sotto la sua protezione.
In questo girotondo teatrale di anime derelitte e crudeli legate all’apparire e non all’essere ci sono i suoceri chiusi nell’assolutezza del loro odio e del loro dolore provocato dalla vergona, il preside nella sua reboante severità, la sposa bambina che pur diventata mamma non sa cessare di essere figlia, il mellifluo don Landolina, la vittoriana Rosaria, la figura quasi caricaturale della servetta, l’ondivago Giacomino.
Nell’astrazione di una scenografia firmata da Angela Gallaro Goracci che procede per volumi, pareti, passaggi pervasa dalle luci calde, mediterranee di Umile Vainieri, le musiche di Germano Mazzocchetti si insinuano negli spazi della scena con proprietà espressiva.
Uno spettacolo altissimo, calibrato, incisivo. Eccellenti tutti gli interpreti Liborio Natali, Rita Abela, Federica Bern, Valentina Gristina, Gaia Lo Vecchio, Marco Guglielmi, Valerio Santi e Sergio Mascherpa che sotto l’abile regia di Fabio Grossi offrono una recitazione elegante e senza sbavature.
Applausi e ancora applausi.
Giovanna Villella