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La Cuzzùpa

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cuzzupe

La Cuzzùpa, o Sguta, o Angùta, o Vuta, o Pizzatola, o Cullùra, è un dolce tipico pasquale calabrese, che trae il suo nome a seconda della localizzazione geografica all’interno della nostra regione

Per esempio:

  • Cozzupa a Cirò Marina (KR);
  • Sguta nella Locride; tipica è la sguta di Mammola;
  • Cuzzupa a Squillace, Lamezia Terme, Soverato, Girifalco, Maida (CZ), Crotone;
  • Pizzatola a Belvedere Marittimo, Cetraro, Diamante, Scalea (CS);
  • Vuta a Delianuova, Scido, Sant’Eufemia d’Aspromonte, Santa Cristina d’Aspromonte (RC).

Per quanto riguarda l’etimologia del termine cuzzùpa, è stata suggerita da Rohlfs (1964: 273) una derivazione da un termine dialettale neo-greco, koútsoupon, letteralmente ‘frutto del carrubo’.

Confezionare la carruba dal punto di vista spirituale non è poi così complesso. Intanto, è noto come “il Pane di San Giovanni”, poiché, secondo una tradizione, il Battista se ne sarebbe nutrito nel deserto insieme a tutto ciò che Madre Natura gli offriva spontaneamente lungo il suo cammino.

Anche Luca, poi, si riferisce alle carrube quando nella “parabola del figliol prodigo” cita i “baccelli” che vengono dati ai maiali, che il giovane è incaricato di accudire, e con i quali avrebbe voluto riempire la sua pancia vuota. A tutto ciò aggiungo pure una leggenda secondo cui re Guglielmo II il Buono, mentre un giorno era a caccia, stanco dalle fatiche della giornata venatoria, si addormentò sotto un albero di carrubo.

Nel sonno, dicunt, gli apparve la Madonna che gli si rivolse con queste parole: “Nello stesso posto dove stai dormendo, c’è nascosto un grande tesoro: scava e nel punto in cui lo troverai, erigerai un tempio”.

Il re normanno svegliatosi chiamò i suoi uomini e ordinò di sradicare il carrubo e di scavare sotto di esso. Il tesoro c’era veramente, e il re ne rimase sbalordito. Guglielmo ingaggiò immediatamente i migliori architetti, i più esperti muratori e i più bravi mosaicisti per dare inizio ai lavori di quella meraviglia architettonica che è appunto il Duomo di Monreale. Insomma, un frutto che, a ben vedere, è facile rimandare ad una sfera spirituale.

Il sostantivo koútsoupon potrebbe retrocomunicare tutta quest’aura sacrale nell’aspetto a corno con cui si presenta a tavola. Guta, o Nguta o Sguta, dal greco augotòs- augòte-òn, cioè ovale, o cuddhura, dal greco κολλύρα, pron. colloùra, ovvero corona, richiamano invece la forma circolare del biscotto, che racchiude al centro un uovo.

Ma perché proprio l’uovo, mi sono chiesto. Beh, in primis, sarebbe il pane farcito di uova che gli Ebrei portarono con sé durante la fuga dall’Egitto, consuetudine che si è venuta trasmigrando nelle successive usanze cristiane.

C’è da aggiungere che il Cattolicesimo riprese pure un filone interpretativo che vedeva nell’uovo un simbolo della vita, rielaborandolo nella nuova prospettiva del Cristo risorto. L’uovo, difatti, somiglia a un sasso e appare privo di vita, così come il sepolcro di pietra nel quale era stato sepolto Gesù.

Dentro c’è quindi una nuova vita pronta a sbocciare da ciò che sembrava morto, questo è il senso immediato, mi pare evidente! Alla luce di tutto ciò, è un chiaro simbolo di Risurrezione.

Pertanto, la cuzzùpa è tutto un impasto catechetico: sforna una “devozione a tavola”, usando, per concludere, una permissibile battuta a tema!

Prof. Francesco Polopoli

[foto: italiani.it]

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