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Vacantiandu. “Filumena Marturano” o il coraggio delle donne

4 min di lettura
Filumena Marturano

Catanzaro, 25 marzo 2019, Teatro Comunale.  In scena, per il penultimo appuntamento con la rassegna teatrale Vacantiandu, direzione artistica di Diego Ruiz, Nico Morelli e direzione amministrativa di Walter Vasta, lo  spettacolo Filumena Marturano di Eduardo de Filippo con la Compagnia Teatro Incanto di Francesco Passafaro, nella doppia veste di attore e regista.

La scenografia riproduce l’interno di una casa borghese: al centro un grande tavolo da pranzo con delle rose rosse fresche, una vetrata che dà su un terrazzo, delle pesanti tende scarlatte che lasciano intravvedere altri ambienti. Sulle pareti due bandiere incrociate e qualche quadro. In questo spazio si incontrano e si scontrano tutti i personaggi.

Francesco Passafaro si accosta a questo capolavoro indiscusso del teatro mondiale con la giusta discrezione, realizzando una regia onesta caratterizzata da sobrietà nello stile, essenzialità della struttura, aderenza al testo.

Un piccolo mondo che nel meccanismo teatrale diventa metafora universale con i suoi temi incentrati sull’amore, sulla famiglia, sui figli e sui “diritti” dei figli, sulla fede, sul peccato, sul coraggio e sulla capacità di riscatto di una donna che crede fermamente alle leggi del suo cuore.


La recitazione degli attori si realizza in una forma di reciproca complementarietà e pur non raggiungendo ancora il suo punto più alto di sviluppo e di maturazione riesce, comunque, ad imporsi  all’attenzione del pubblico e ad assicurare allo spettacolo un preciso carattere di dignità e di omogeneità.

La Filumena di Luisa Covello è molto più “madre” che “donna”. La misurata interpretazione della Covello ne accentuano il côté materno e il tormento per quei figli non riconosciuti che continuano a starsene raggomitolati nelle acque amniotiche dell’anima. È  il desiderio/bisogno di quella maternità negata che la spinge all’inganno. Mentre il carattere passionale della Filumena “donna” sembra ormai levigato dal tempo e dalle sofferenze. La sua durezza nei confronti di Domenico Soriano è frutto di un dolore muto, di una illusione tradita che vira verso la rassegnazione per sciogliersi finalmente in pianto dopo essere riuscita ad allontanare il dramma da se stessa.

Il Domenico Soriano di Francesco Passafaro è spavaldo e sicuro di sé fino all’insolenza. Affetto da perenne dongiovannismo, collerico e furibondo si aggira sul palco covando vendetta ma poi finisce per diventare docile e remissivo in nome di una paternità “imposta” che lo spinge ad “esaminare” i figli di Filumena per scoprire in loro qualche traccia del proprio DNA. Così Passafaro ci regala un don Mimì che ritrova la sua dimensione umana, scoprendosi prima di tutto a sé stesso e rivelandosi debole e spaurito ma anche piacevolmente divertente.

E in questo clima di naturalezza garbata ben si inseriscono tutti gli altri personaggi che appaiono efficaci e convincenti.

Ben disegnata la fedele Rosalia di Rita Sia che infarcisce la sua parlata con quelle finali in “e”. Irresistibile l’Alfredo di Stefano Perricelli tutto costruito sul tono della giocosità espansiva e colloquiale anche se truccato per caricare di anni e di pathos il personaggio. Insinuante e sfacciata la Diana di Francesca Guerra. Disinvolto e incisivo l’Avvocato di Roberto Malta. Vivace e scaltra la Lucia di Chiara Pappaianni. Pure la fugace apparizione di Damiano Truglia nel ruolo di Antonio, incaricato di consegnare la raffinata cena per il tête-à-tête tra Don Mimì e Diana, e quella di Daniele Sgro nel ruolo di don Peppino il sarto, appaiono ben virgolettate.

Mentre forte e limpida nella personalità come nella presenza scenica è l’interpretazione di Gabriele Santo, Michele Grillone e Michele Muzzi che ben rendono la naturale riservatezza di Umberto, l’eleganza e la protervia di Riccardo, la semplice –quasi imbarazzante – affabilità di Michele.

L’allestimento scenico pulito e rispettoso del testo mantiene il nucleo drammatico originario e, seppur attraversato da una reale anche se non dichiarata spinta comica, suscita nel pubblico una emotività partecipe e condivisa.

Applausi meritati!

Al termine dello spettacolo, il consueto omaggio della tradizionale maschera, simbolo della rassegna Vacantiandu ideata dal graphic designer Alessandro Cavaliere e realizzata dal maestro Raffaele Fresca, che il direttore artistico Nico Morelli e il direttore amministrativo Walter Vasta hanno consegnato a Francesco Passafaro.

 

Giovanna Villella

[foto di scena Ennio Stranieri]

 

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