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L’abbazia benedettina di Sant’Eufemia Vetere: oltre mille anni di storia

4 min di lettura

Fondata nella seconda metà dell’anno Mille, è la suggestiva testimonianza di un passato ricco di storia

I resti archeologici dell’abbazia benedettina sono situati in località Terravecchia di Sant’Eufemia (Torrevecchia) e rientrano in un ampio parco immerso negli uliveti a pochi passi dal vicino sito archeologico di Terina, antica colonia greca.

Secondo il diploma di fondazione datato 1062 a firma di Roberto il Guiscardo, se ne restaura una preesistente, sui ruderi di un antico cenobio risalente probabilmente a Cassiodoro nel 554 (Hagìa Euphémia di Néocastron). Notevoli dubbi sono stati mossi circa l’autenticità della documentazione, per una serie di errori anacronistici e per la presenza del nome di Roberto e non di Ruggero. Pietro Ardito in “Spigolature storiche sulla città di Nicastro” tratta ampiamente la tematica fornendo un quadro chiaro e preciso sullo sbaglio, incentrato sul fatto che gli studiosi hanno visionato copie estratte da quella redatta dal notar Alessandro Barbaro di Nicastro, il quale denomina Ruggero il donatore.

Abbazia Benedettina - LameziaTerme.it
Abbazia Benedettina

All’interno del documento sono indicati anche i confini entro cui rientra la proprietà:  “Vetus Civitas tra i due fiumi Amato e Piscirò e il mare; la foce dell’Amato, la selva ivi inclusa, il lido del mare con le sue rendite, le selve dall’Amato a Santa Maria di Capu­sa, i villani del territorio di Nicastro; la conferma della donazione di Amburga; i Monasteri di Sant’Elia, Santa Maria di Grillano, San Pietro dei Vescovi, San Gregorio, San Vesanato, San Nicola di Gizzeria, ecc.”.

Questi possedimenti saranno poi confermati da Federico II nel momento in cui scambierà il Castello di Nicastro col casale di Nocera.

L’azione di riqualificazione è inclusa nel processo di latinizzazione del territorio a discapito dei basiliani. All’interno di questo progetto rientra la figura di Roberto di Grandmesnil, abate di Saint-Evroult-en-Ouche, esiliato da Guglielmo il Conquistatore, a cui Roberto il Guiscardo affida la ricostruzione della chiesa.

In primis intitolata a Santa Maria, ospiterà inizialmente undici monaci al seguito dell’abate, ma nel giro di pochissimi anni questo numero aumenterà esponenzialmente. Lo stile di progettazione rimanda a quello nordico-benedettino, rifacendosi al modello dell’Abbazia di Cluny. Analogamente anche su Mileto, saranno creati due centri religiosi principali a cui sono affidati da una parte l’opera di riconversione religiosa e dall’altra la prima sede episcopale del regno.

Secondo le fonti, “Roberto il Guiscardo, duca di Puglia e di Calabria, diede ivi sepoltura a sua madre: Fredesenda, seconda moglie di Tancredi d’Altavilla”.

Si è trattato di un centro religioso particolarmente attivo e ricco di donazioni, che sfornò vescovi e abati che andarono a coprire diverse cariche del complesso sistema clericale meridionale: basti pensare al monaco Ansgerio, che da Sant’ Eufemia passò a Catania nel 1083 per fondarvi il monastero benedettino di Sant’Agata e nel 1091 divenne primo vescovo latino di quella città.

Di Sant’ Eufemia fu anche il monaco Goffredo Malaterra, lo storico ufficiale dei Normanni, autore del “De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius”, una cronaca sull’origine dei Normanni in Italia.

Come abbiamo già accennato il complesso monumentale rispecchia i canoni costruttivi dell’architettura normanna; attualmente sono visibili le due torri campanarie, la tripartizione in navate ampie e lunghe che portano alla zona absidale totalmente scavata: consta di un pavimento in opus sectile, marmi policromi antichi dalla conformazione geometrica.

Molti materiali di reimpiego usati per la sua costruzione provengono da siti classici vicini; sicuramente non si tratta della vicina Terina, rasa al suolo e priva di un periodo romano, ma verosimilmente si potrebbe trattare di elementi decorativi e architettonici che provengono dal sito romano di Squillace.

Abbazia Benedettina

Ha pianta basicale con coro gradonato e transetto sporgente; le mura ad est hanno uno spessore di 3.3 mt, dimensioni che fanno presupporre la presenza di matronei, dubbi che potrebbero essere dissipati procedendo con gli scavi; di fatti le pareti portate alla luce riguardano il livello più alto, in cui si possono ammirare il susseguirsi di contrafforti e monofore a tutto sesto.

Durante le campagna di scavo sono stati inoltre portati alla luce i resti di un affresco, probabilmente il più antico di tutta la zona, ancora parzialmente visibile se si ha la possibilità di visitare il sito.

Il complesso monumentale si staglia ancora sullo scenario della piana lametina a testimonianza di un glorioso passato e con la speranza che possa essere un caposaldo del futuro turistico-culturale della città.

 

Felicia Villella

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