Lamezia. A teatro la realtà infinitamente mutabile di Pirandello
4 min di letturaSecondo appuntamento con le compagnie del Teatro Amatoriale Italiano. In scena per l’occasione Uno, Nessuno e Centomila. Alla regia Tindara Falanga
Promosso dalla compagnia teatrale I Vacantusi, la sezione è dedicata al Gran Premio del Teatro Amatoriale Italiano che si svolge per la prima volta in Calabria.
Quattordici le compagnie in gara, selezionate per ogni regione tra quelle iscritte alla Federazione Italiana Teatro Amatoriale (FITA). Ciascuno spettacolo verrà valutato da una giuria qualificata e la premiazione si svolgerà il prossimo 29 marzo 2020 al Teatro Comunale Grandinetti.
Sabato scorso è stato il turno della Sicilia, con La Compagnia teatrale Piccolo Borgo Antico di Lipari, nata nel 1992 a Pianoconte (piccola frazione dell’isola) come laboratorio parrocchiale, ufficializzata poi mediante atto costitutivo nel 1996 e da sempre guidata dalla regista Tindara Falanga.
In scena la complessa quanto celebre opera di Pirandello Uno, Nessuno e Centomila, testamento letterario dell’autore.
La storia inizia con una scoperta, apparentemente insignificante, del protagonista Vitangelo Moscarda, detto Gegè. Il suo naso pende a destra: un dettaglio che non aveva mai notato.
La vista quasi ossessiva di sé allo specchio, innesca in lui la consapevolezza di non apparire agli occhi degli altri come ai propri.
I ragionamenti si affollano nella sua testa fino ad un altro momento di rottura.
Pensa al padre e alla sua professione di banchiere. All’ improvviso l’illuminazione: non era un banchiere, ma un usuraio! Questo intensifica la sua frustrazione.
Per gli altri lui è il figlio dell’usuraio e, avendo ereditatone la banca, usuraio egli stesso.
Decide allora di iniziare a scompigliare le carte, distruggendo le immagini di lui che gli altri si erano fatti, gli altri “lui” che vivono negli occhi delle persone che lo conoscono.
Il primo esperimento è quello con Marco di Dio e sua moglie Diamante, vecchi clienti del padre.
Gegè decide di inscenare lo sfratto dei due, salvo poi, a sorpresa, donargli una casa. Di fronte a questo gesto, la gente riconosce i primi segni di follia.
La seconda azione, questa volta in preda alla rabbia, è di ritirare il proprio capitale dalla sua banca, facendola fallire. Le conseguenze sono più violente: la moglie va via di casa e lui litiga col suocero. Tutti ormai lo credono impazzito e intraprendono un’azione legale per interdirlo.
Interviene qui un nuovo personaggio, Anna Rosa, amica della moglie inizialmente rimastagli fedele.
Con lei Gegè si apre e viene per la prima volta compreso. Ma scoprendosi turbata dai suoi pensieri, inaspettatamente, gli spara.
Dopo il tentato omicidio, inizia il processo ai danni di Anna Rosa. Lui dichiara si sia trattato di un incidente, ma la donna ha già confessato.
Su suggerimento di Monsignor Partanna, decide di devolvere i suoi beni per la costruzione di un manicomio per indigenti, in cui lui stesso si ritira a vivere.
Nel finale, egli ha ormai rinunciato alla sua identità, è fuori dal mondo e lontano dalle persone: tentando di sfuggire alle proprie centomila realtà, ai centomila estranei che convivono in lui, ha rinnegato anche sé stesso.
Gegè indossa centomila maschere: una per ogni persona che conosce, e una anche per sé stesso. E’ uno, è tanti e allo stesso tempo è nessuno. L’unica via di scampo rispetto a questa paradossalità, è la follia.
La scelta oculata della regista di far interpretare il ruolo del protagonista, contemporaneamente, a tre diversi attori, ha reso perfettamente tutta la tragicità della sua vicenda interiore, raccontata in prima persona quando i fatti sono ormai accaduti, seguendo il suo flusso di coscienza nel processo di scomposizione dell’io.
Il palcoscenico, sapientemente occupato da specchi e scenografie mobili, con un gioco di luci ha rappresentato quel mondo incerto, smarrito e tormentato.
Tutti in sala sono rimasti rapiti dalla vicenda e dalla maestria degli attori.
“Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile.”
Maria Francesca Gentile