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Associazioni: ritardi storici e politica sanitaria dissennata impoveriscono la regione

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Servono più risorse da destinare alla cura del cancro nel nostro Paese, per affrontare la fase 3 della pandemia e un’eventuale seconda ondata del Covid nel prossimo autunno

Comunicato Stampa

In Italia, i tumori costano ogni anno circa 20 miliardi di euro: le uscite per i farmaci antineoplastici, nel 2018, hanno raggiunto i 5 miliardi e 659 milioni e i costi diretti a carico dei pazienti e delle famiglie sono stimati pari a 5,3 miliardi di euro. Alla cura di tumori in stadio più avanzato corrispondono uscite sempre maggiori per le terapie. E la sospensione degli screening, la diminuzione delle visite oncologiche ambulatoriali e la cancellazione o il rinvio di numerosi interventi chirurgici, determinati dall’emergenza Covid negli ultimi mesi, rischiano di causare un aumento del numero di diagnosi di cancro in fase avanzata nei prossimi anni nel nostro Paese, con la necessità di più risorse.

Fondi che dovrebbero essere destinati anche a una vera e propria riorganizzazione della medicina del territorio, perché gli ospedali non possono farsi carico dell’intera gestione delle malattie croniche. L’appello alle Istituzioni viene dai pazienti oncoematologici, dagli oncologi e dagli ematologi per presentare una proposta che disegna modalità organizzative e percorsi volti a ridurre al minimo il rischio di infezione nei pazienti e nel personale sanitario.

È forte la preoccupazione dei pazienti che un’eventuale seconda ondata del virus in autunno possa provocare gli stessi danni a cui abbiamo assistito nella fase 1, in assenza di provvedimenti migliorativi dell’assistenza sia territoriale che ospedaliera. Le malattie croniche hanno un impatto enorme sulla spesa sanitaria. Basta pensare che, in Italia, quasi 11 milioni di persone vivono con patologie oncologiche, ematologiche e cardiovascolari. Il sistema nella fase acuta della pandemia ha retto solo in parte e grazie al sacrificio degli operatori sanitari, che sono stati in grado di tanto in tanto di superare le lacune organizzative della medicina territoriale. Il Fondo sanitario nazionale per il 2020, pre-Covid, era pari a 116,474 miliardi di euro. La spesa sanitaria pubblica in rapporto al PIL, in Italia, nel 2018, è stata pari al 6,5%. Grandi Paesi europei come Germania (9,5%), Francia (9,3%) e Regno Unito (7,5%), nel 2018, hanno registrato percentuali di spesa pubblica in sanità rispetto al PIL decisamente più alte delle nostre (Fonte OCSE).

Buona parte delle criticità, emerse durante l’emergenza Covid-19, si riferiscono a carenze relative alla sanità pubblica territoriale, che inevitabilmente hanno determinato un sovraffollamento degli ospedali – Nel 2019, in Italia, sono stati stimati 371mila nuovi casi di cancro. Per quel che attiene all’assistenza oncologica, riteniamo che una serie di attività quali i follow-up dei pazienti non più in trattamento, le attività di screening e di riabilitazione oncologica e tutte le problematiche attinenti alla gestione delle cronicità possono essere gestite in strutture sanitarie territoriali ad hoc di nuova istituzione, con una forte e strutturata collaborazione tra specialisti ospedalieri e medici di medicina generale .L’improvvisa emergenza determinata dalla pandemia ha causato uno stravolgimento dell’organizzazione delle strutture ospedaliere, che ha coinvolto servizi e personale sanitario per fornire assistenza a un numero enorme di pazienti colpiti dall’infezione .

Inoltre serve forte impulso alla ricerca traslazionale e clinica, soprattutto nel settore della medicina personalizzata, privilegiando soltanto i progetti più validi e promettenti al fine di aumentare la selettività dei trattamenti con il risultato della massima efficacia e minore tossicità. Dovrà essere previsto un uso più esteso dei test genomici con capacità già dimostrata di markers prognostici e predittivi dei trattamenti oncologici, anche al fine di evitare, per esempio, la chemioterapia adiuvante in molte pazienti con cancro della mammella operato, così ponendo fine alle assurde discriminazioni attualmente in atto tra le Regioni a questo riguardo. Purtroppo ci sono regioni come la Calabria dove i ritardi storici,una dissennata politica sanitaria,l’emergenza cronica accompagnata da scelte assurde e ballerine con competenza al di sotto del minimo richiesto continuano a creare enormi problemi ai pazienti e ad impoverire una regione che non riesce a garantire nemmeno i livelli minimi di assistenza. A tal proposito non si capisce perché non si aprono gli ambulatori ospedalieri se non per le urgenze mentre sono aperti quelli privati ed intramoenia.Chissà perché?

Associazione malati cronici del lametino.

Associazioni malati oncologici

Comitato “Per la sanità pubblica “

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