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Un bambino del pittore sambiasino Fiore

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Un bambino del pittore sambiasino Fiore

I bambini sono tra i soggetti più variegati del panorama artistico: spettinati, buffi, dolci o scalmanati hanno riempito le tele di grandi nomi di respiro internazionale

Basti pensare a Paulo vestito da Arlecchino di Picasso o a Giochi di bambini di Peter Bruegel il Vecchio, per fare qualche esempio.

Quella del pargoletto morto prematuramente, invece, seppur conosca una robusta tradizione alle sue spalle, ad un certo punto della storia, ha avuto una sua brusca interruzione: nella fattispecie, l’avvento della fotografia, nell’opinio popularis, ha permesso il mantenimento di un più fedele ricordo per l’eternità.

D’un tratto si è preferito non lasciare la memoria al pennello di qualche artista, ma alla cruda rappresentazione della realtà, detto in sostanza.

Il sambiasino Eduardo Fiore (1831-1916), dalle nostre parti, al contrario, è stato un bel punto di riferimento per quelle che amo definire rappresentazioni oranti in tutti quei templi domestici, ove si è consumata una giovane vita spezzata.

Quella che sottopongo alla vostra attenzione è un prezioso capolavoro, fornitami per gentile concessione da Salvatore Giudice: appartenente alla collezione privata della sua famiglia ritrae un loro antenato, Francesco, morto all’età di 8 anni, nel 1886, e fratello di quel Luigi (+1896), che vediamo ospite nella Casa della Memoria del prof. Umberto Zaffina.

Il look è quello di un infante adulto, quasi a volerlo proiettare in una realtà, dove per i più cari peserà, di converso, solo la sua assenza. Come lo vediamo vestito nel campo visivo di tutta la composizione?

A primo acchito, quando mi ci si perde l’occhio in tutta questa bellezza, mi vien da pensare ad uno spazio espositivo, alla pari di un capo di una vetrina qualunque, per intenderci. Fiore, quasi da buon commesso, avrà predisposto tutti gli articoli e gli accessori della moda d’allora, per vestirlo d’abito nuziale, come dice la buona novella, nel giardino dell’Eden per sempre.

Una Fashion stylist, oggi, non si farebbe sfuggire la stratificazione del vestiario, magari con qualche chiosa a commento: «un elegante completo di tre pezzi: giacca senza collo e falde con polsini abbottonati; gilet 4 bottoni, interamente in velluto. La giacca in tinta bordeaux è contornata da morbida plissettatura color oro con rifinitura in merletto chiaro (panna, écru). Lo stesso motivo arricchisce il collo del gilet e l’estremità dei pantaloni.

Tutto l’insieme è armonizzato dalla variazione di solo qualche tonalità: un tenue accento è dato “appena appena” dal celeste della cravatta» (Giovanna Armaleo). La lettura finale?

Un approccio estetico ed estatico del Bello: un’aura sacrale sottrae il dramma alla tragedia, facendola diventare preghiera. La pittura come sublimazione del lutto, potremmo dire: nulla ricompensa, lo sappiamo, ma il tempo, se è vero che è mitigatore, compensa qualunque scompenso. Fiore aveva tutti i suoi colori per poterlo effigiare, senza mai truccarlo….

Prof. Francesco Polopoli

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