Bello di papà. Quando il teatro è gioia
4 min di letturaLamezia Terme, 11 marzo 2017, Teatro Comunale Grandinetti. Nel ricordo di Antonio Federico, il bambino prematuramente scomparso qualche anno fa, prosegue l’impegno della Compagnia teatrale “I Vacantusi” che, in collaborazione con la famiglia Federico, organizzano uno spettacolo nell’ambito della rassegna Vacantiandu – Città di Lamezia Terme giunta alla sua VI edizione e realizzano laboratori teatrali nelle scuole del territorio per avvicinare i ragazzi all’arte del teatro.
Quest’anno le scuole lametine coinvolte sono l’Istituto Comprensivo “S. Gatti” e l’Istituto Comprensivo S. Eufemia che, sotto la guida dei maestri Giovanni Carpanzano e Anna Macrì, coadiuvati da Angela Gaetano per l’aspetto organizzativo, stanno lavorando alla realizzazione di due spettacoli che andranno in scena al Teatro Comunale “F. Costabile” il 6 maggio.
In questa edizione della rassegna, la gioia, il sorriso, ma anche la fatica e l’impegno e di fare teatro sono stati affidati a Biagio Izzo e ai suoi brillanti attori che hanno portato in scena lo spettacolo Bello di papà di Vincenzo Salemme che ne ha curato anche la regia.
Un décor minimal-chic nei toni del grigio e del bianco, firmato da Alessandro Chiti e illuminato dal sapiente gioco di luci di Luigi Ascione.
Un arredamento essenziale, un tavolo di legno chiaro con 4 sedie e un divano bianco. Una scala porta alla zona notte mentre una grande vetrata, con vista su un rigoglioso giardino, risolve il rapporto tra interno ed esterno. In questo spazio scenico dove tutto deve essere ordinato e pulito si muovono i personaggi della commedia il cui tema ruota intorno al rifiuto della paternità.
Biagio Izzo, nel ruolo del protagonista Antonio Mecca, offre al pubblico una interpretazione così impetuosa e traboccante da suscitare continuamente il riso. Una comicità genuina, primitiva quasi, ricca di parole, di atteggiamenti, di movimenti – talora un po’ abbondante – con una gestualità scenica e una mimica facciale in cui l’arguzia si mescola alla giocondità, scende talora fino alla buffoneria e si rialza per diventare osservazione umoristica.
Il suo è un personaggio che si muove entro un perimetro mentale ben definito. Tutto deve essere organizzato, l’imprevisto lo turba, sovverte il suo ordine mentale che si manifesta, all’esterno, nell’ordine maniacale della sua casa. Anche la moglie Marina, interpretata da una bella ed esuberante Yuliya Mayarchuk fa parte dell’arredamento.
Lui ne è attratto, certo, ma rifiuta fermamente l’idea di darle un figlio e questa maternità negata induce Marina a costruire un enorme inganno…
Cinico, goloso e scroccone lo psichiatra, professor Ferdinando Coppola, nella vivace interpretazione di Mario Porfito, una sorta di Tartufo partenopeo che si insinua nella vita e nella casa di Antonio sconvolgendogli l’esistenza con la sua strana terapia sull’induzione del senso di paternità.
Questo suo strano esperimento, messo in atto con la complicità di Marina, è coadiuvato da altri due personaggi esilaranti: la sua assistente Fiorella, di cui Luana Pantaleo ne dà un ritratto proteiforme e godibilissimo e uno scattoso e iperattivo Domenico Aria nel ruolo del finto figlio Emilio.
Ad ingarbugliare l’azione scenica la madre di Antonio, Adele Parascandalo, interpretata da una ottima e stravagante Adele Pandolfi, e il fratello Attilio di cui Arduino Speranza ci offre un perfetto ritratto di cocu magnifique fagocitato e manovrato da una moglie procace e panterona, Sheila, amante dello stile animalier e interpretata da una bravissima Rosa Miranda.
Tempi comici calibrati alla perfezione, ritmi incalzanti e battute a raffica ma l’autore/regista segue i movimenti dei suoi personaggi con sguardo affettuoso e vi profonde uno spirito d’osservazione finissimo pur celandolo dietro una ilarità continua.
Infatti, la struttura del gioco scenico in cui essi sono imprigionati è rigorosamente spiralica in quanto, proprio in virtù delle torsioni impresse ai loro rapporti dalla logica dell’intreccio, alla fine si ritroveranno ad occupare posizioni simmetriche e opposte a quelle assegnate loro all’inizio.
Così, la tela di ragno intessuta per intrappolare Antonio finirà con il ritorcersi contro gli stessi tessitori e, con una virata improvvisa, la risata gioiosa si smorza sull’ultima battuta “Dai, spegni le candeline, bello di papà” per trasformarsi in tenerezza.
Appalusi fragorosi e meritati per tutta la compagnia ma un plauso speciale a Biagio Izzo che si è rivelato artista sensibile e generoso nel condividere questo progetto portato avanti con coraggio dalla famiglia Federico .
“La scelta di dedicare una manifestazione teatrale al piccolo Antonio non è il semplice bisogno di ricordare un amore infinito. Il teatro è un mezzo per giocare alla vita, diventarne il regista e conoscerne la fine. È cambiare ruolo, truccarsi, trasformarsi senza sosta, poter conoscere sé stessi nel profondo.
Non si può bleffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, la stessa forza che sento nella famiglia Federico, che da diversi anni porta avanti questo importante progetto.
Il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita e della morte..”
Così sì è espresso Izzo che, a ricordo della manifestazione, ha ricevuto il simbolo dell’Infinito disegnato dal grafhic designer Alessandro Cavaliere e realizzato da Luciano Pesce e la maschera gialla simbolo della VI edizione della rassegna Vacantiandu 2016.2017 con la direzione artistica di Nico Morelli, Walter Vasta e Sasà Palumbo.
Giovanna Villella
[foto di scena Ennio Stranieri]