“Calabrese, tu hai le mani d’oro” disse Picasso. Paolo Condurso
C’era una volta l’arte dei pignatari che divenne arte delle ceramiche. Poi arrivò lui e innalzò la ceramica sul piano artistico della scultura. Picasso ne ammirò il genio e le forme. A qualche anno dalla sua morte, Paolo Condurso viene ricordato dal figlio Gennarino e dalla moglie Rosa.
A Seminara, sei nel mezzo, vedi il mare che arriva con la costa viola e la montagna che da dietro, promette una poesia chiamata Aspromonte.
Qui tra il 1495 e il 1503, gli spagnoli combatteremo contro i francesi per riprendersi il Mezzogiorno nelle famose Battaglie di Seminara durante le Guerre D’Italia. Nelle stesse campagne, ricche di ferro, rame e manganese, si estraeva l’argilla che gli artigiani del luogo lavoravano in forme e colori antichi, già a quel tempo.
Famiglie di artigiani che da generazioni, nel “borgo dei pignatari” — famoso per le fornaci a legna — conoscevano tecniche di invetriatura medievali e realizzavano utensili d’uso quotidiano di nuova e distintiva creatività.
Venivano chiamati i pignatari di Seminara e si distinguevano per l’uso di colori naturali quali il giallo, il verde, il blu e il rosso terra, pigmenti naturali del terreno circostante.
Orci, brocche, bottiglie, anfore e borracce venivano acquistate dai numerosi pellegrini che accorrevano durante le celebrazioni della Madonna dei Poveri proprio nel piccolo paese e portate in tutta la Calabria grazie alle numerose fiere che accompagnano le feste religiose.
Si rimane colpiti in primis dai nomi e dalle forme di questi oggetti che ritengo autentiche poesie in dialetto:
- le cannate, ovvero i boccali;
- i porroni a riccio, ovvero orci abbacchiati e ornati;
- i babbaluti, ovvero fiaschi e maschere;
- le lancelle, ovvero anfore;
- le vozze, ovvero le bottiglie panciute;
- i gabbacumpari, brocche forate con segreto.
Fonte di ispirazione sono i miti greci, le tradizioni religiose e pagane, lo sberleffo e la satira contro i feudatari e i Borboni che in queste terre ricche hanno abitato.
Guidata da Google Maps, ritorno a Seminara in una banale mattina di mezzo inverno. Il paese, in questa stagione, è più solo che in estate. Poche auto scorrono sulla statale che attraversa il paese.
Venendo dal mare, sulla destra di viale Barlaam emerge dai muri scrostati di una casa, la parete vivacemente colorata di ceramiche che incornicia l’ultima bottega che fu del cav. Paolo Condurso, le cui ceramiche vennero apprezzate da Pablo Picasso. La bottega, ora seguita da Gennarino Condurso e custodita da mamma Rosa, espone pezzi importanti della produzione di Paolo Condurso comprese le famose “picassine”.
Sono venuta spesso a Seminara, ne ho apprezzato lo stile originale delle forme e la spinta imprenditoriale di alcune botteghe che propongono le ceramiche nel formato di gadget, accessibile a tutti ed adeguate ai gusti moderni. Quando si viaggia, i gadget autoctoni sono sempre ben apprezzati — così lisci, dai colori brillanti, dalle forme omogenee e ben posizionati nelle vetrine — appartengono ad una moda consumistica che riempie le nostre case di suffragati e impoverisce, penso, la nostra mente.
I primi responsabili di questo impoverimento sono da ricercarsi nel campo della comunicazione, ma anche amministratori e critici di turno hanno la loro parte: usano paroloni altisonanti e, senza troppa ricerca storica — confondono l’arte con il gadget, ingannando l’identità di un luogo. E i turisti abboccano.
A Seminara — come a Caltagirone, Grottaglie, Vietri, Santo Stefano di Camastra — trovi i gadget in ceramica, e trovi però anche l’autentica e straordinaria opera dell’antica arte della ceramica.
Quando entri, ad esempio, nell’ultimo atelier che fu di Paolo Condurso a Seminara, il tripudio estetico visto nelle botteghe limitrofe svanisce e lascia il posto ad un intimo e autentico sentimento di stupore che sgomenta. E non bisogna essere esperti di arte, collezionisti o professori per “sentire” risuonare quell’unicum universale.
Mi viene in mente una terzina di Dante — quella più amata da un’anziana professoressa di arte di tanti anni fa e che mi è rimasta tra le più care perché lampante. Dante si riferiva all’ opera d’arte come accadimento universale dove l’anima dell’artista supera la propria personale biografia realizzando forme e motivi ancestrali, messi a disposizione dell’umanità.
Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna.
(Paradiso XXXIII, 85–87)
Qui, in questo museo-atelier possiamo ben parlare di arte nei termini di arduo intento di pochi eletti che fanno bene un oggetto “legato con amore in un volume”.
Qui, in questo museo-atelier, gli oggetti “legati con amore in un volume” hanno quei nomi di cui sopra.. babbaluti, maschere apotropaiche, ricci, vozze, teste picassine.
Consiglio a tutti l’esperienza di entrare nella bottega di Paolo Condurso — svuotare la mente, chiudere per un momento gli occhi e ascoltare le voci delle opere tutt’intorno, narrare verità arcaiche. E’ una riconciliazione con un senso profondo. L’esperienza di una bellezza che supera il puro piacere estetico: sono opere d’arte perché arrivano dall’anima e ne custodiscono dei frammenti.
Ci sono libri autorevoli in cui la storia del cavaliere Paolo Condurso è ampiamente raccontata in termini di premi vinti, stile e forme artistiche, alti riconoscimenti e incontri, come quello fortuito con Picasso, che ne hanno definito storia personale e professionale.
Ho incontrato suo figlio Gennarino e Rosa, la moglie che lo accompagnò in ogni viaggio e battaglia. Mi piace adesso condividerne l’immagine inedita che si è delineata nelle chiacchiere intorno ad un caffè in una mattina di mezzo inverno.
Adesso è Gennarino a portare avanti quella bottega e l’arte viscerale della lavorazione dell’argilla che questa famiglia ha sublimato. A custodirne la memoria al fianco di Gennarino c’è, come dicevo, l’inarrestabile Rosa, moglie ispiratrice di Paolo e mamma devota di quattro figli che ha cresciuto tra difficoltà e grandi perdite, ma senza mai perdere la forza di andare avanti.
Dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna. E Rosa così emerge dai racconti della saga familiare che ci racconta: è riuscita a tenere unita la famiglia “nonostante malattie, lutti, perdite, inganni, invidie e tirannie patriarcali”.
Paolo Condurso, non fu solo maestro dalle mani d’oro— come Pablo Picasso lo definì a Ventimiglia nel 1963 — ma anche marito premuroso e affidabile, padre disperato che distrusse tutte le sue opere dopo la morte del figlio Maurizio e disposto a tutto per salvarne un altro, Gennarino, da una feroce malattia, figlio rispettoso che tornò in Calabria per aiutare suo padre e i suoi fratelli nelle attività delle botteghe.
Fu un artista eclettico, Gennarino e di Rosa ne mostrano un’ umanità comune resa straordinaria dagli incontri e dalle scelte ardite, un bambino prodigio cresciuto a pane e argilla.
Il suo talento venne da subito notato in bottega e purtroppo insieme alla fortuna arrivarono anche dispute e litigi sulle tecniche e i segreti di lavorazione.
“A sei anni, prese un bunnolo su cui suo padre stava lavorando, ne staccò un manico e con quel manico ci plasmò la prima faccia greca. A soli 6 anni inventò un bunnolo che non si era mai visto prima” racconta Gennarino.
“..era molto legato alla sua famiglia d’origine alla quale tentò di insegnare la sua manualità e le sue tecniche ma purtroppo negli anni questa famiglia non sempre gli fu vicina. Ne sfruttarono fortuna, talento e generosità lasciandolo solo nel momento del bisogno” aggiunge la dolcissima Rosa, avvolta nel nero di tanti lutti.
“Non aiutò solo la sua famiglia d’origine, mio padre aiutò tutti gli artigiani di Seminara per i quali produceva lavorati e semi-lavorati che venivano poi venduti insieme a quelli della specifica bottega”.
“Non è mai stato facile” aggiunge Rosa “perché cercarono spesso di copiare e rubare le sue tecniche. Ma lui non si tirò mai indietro ed aiutò sempre tutto il paese”.
“Spesso” ricorda ancora Gennarino “andavano a frugare nei cocci delle maschere che buttavamo..recuperavano i nostri scarti o pezzi rotti per ricavarne uno stampo e copiare le espressioni ad esempio”.
Nel 1963 partì da Seminara, destinazione Ventimiglia, in cerca di fortuna “ per fame, tocca dirlo” racconta Gennarino. Portò con sé l’ardore giovanile, il talento naturale e 4 delle sue prime opere realizzate nella bottega di famiglia.
E proprio sulla costa ligure durante un ’esposizione ambulante, fu Pablo Picasso a notare il talento di Paolo che lavorava con estrema facilità e ingegno un pezzo di argilla che aveva portato con sé.
Fu un incontro favoloso che segnò in qualche modo la svolta e l’accreditamento dell’artista sull’artigiano.
“Calabrese, hai le mani d’oro” disse Picasso a Paolo Condurso.
Lui, senza riconoscerlo, lo omaggiò di un uccellino plasmato sul momento. Picasso gli lasciò in cambio quattro degli schizzi che portava con sé (Paolo li regalò ad alcune ragazze che assistettero alla scena, senza badare al peso che avevano) e comprò “un babbaluto, una testa greca, una maschera e una calabrisella” opere che ora si trovano nel Musée Picasso d’Antibes in Francia e a quello nazionale di Toronto.
Nel 1964 lo stile arcano, ma tuttavia moderno delle sue opere, trionfa in un concorso del Ministero delle Belle Arti dove si aggiudica il primo posto e il suo nome si afferma entrando nei libri, nelle gallerie e nei musei.
Qualche anno dopo, Pertini lo conferì con il titolo di Principe della ceramica, Cossiga e Andreotti gli conferirono la carica di Cavaliere al merito, Scalfaro e Prodi lo nominarono Grande Ufficiale.
“Nel 2013 gli proposero la candidatura a diventare senatore a vita per i meriti artistici, ma rifiutò perché la sua vocazione non passava attraverso i titoli ma era nella pura creazione, nella bottega” racconta Rosa “lui voleva essere libero..quando eravamo giovani, io lo seguivo nella bottega che avevamo giù, perchè ero un pò gelosa delle altre donne. Lui lì era felice e creava cose che nessuno aveva mai visto”.
“Da quando è venuto a mancare papà, le cose non vanno. Ci sono persone che cercano di appropriarsi del nome e della storia di mio padre. In un articolo sul sito Issuu i giornalisti hanno dichiarato un grande falso storico, che offende la memoria la sua memoria, attribuendo l’apprezzamento di Picasso ai fratelli. Non furono le ceramiche dei fratelli Condurso ad essere apprezzate da Picasso ma quelle di mio padre, Paolo Condurso. ” racconta ancora Gennarino “..quindi vorrei specificare che Picasso apprezzò in modo univoco le opere di mio padre Paolo Condurso e non quelle di altri della sua famiglia. le opere esposte nei musei, sono firmate Paolo Condurso, quindi non c’è alcun dubbio. Prima di scrivere, i giornalisti dovrebbero informarsi. Si sta divulgando una falsità solo per motivi economici ed io, anche se sono malato, dedico ogni energia per salvare il lavoro e l’onore di mio padre,e affronto tutte le bugie pubblicamente perchè il merito legato al suo nome non può essere disperso.”
“L’arte della famiglia Paolo Condurso finirà con me molto probabilmente” conclude Gennarino “ ma mi piacerebbe che Seminara fosse riconosciuta da tutti come centro della ceramica della Calabria. Mi appello affinché le amministrazioni difendano il valore delle ceramiche fatte mano in questo paese. Paolo Condurso potrebbe continuare a vivere in un contesto di autenticità e limpidezza se solo lo volessimo tutti”.
Mi piacerebbe che questo sogno del discendete del maestro Paolo Condurso si avverasse soprattutto per quelli che cercano consapevolezza e radici, soprattuto per le generazioni che partono e che hanno bisogno di contatto sincero, di orgoglio d’appartenenza.
Grazia De Sensi