Carlo Acutis: il cantico di una creatura…
3 min di letturaC’è una fetta di gioventù, oggigiorno, il cui af-fetto per la vita sembra disancorato dal mondo circostante: lasciandosi intossicare dai fumi del divertimento, della droga, dell’alcol, delle notti brave, sopravvive alla realtà, senza darle un significato adeguato, se non quello declinato ad uso ed abuso del proprio io.
Eppure, sin da piccoli abbiamo imparato che da soli non si va da nessuna parte: questo, a partire dalle nostre famiglie, dove in comunione è venuta a svilupparsi la nostra identità di appartenenza. Tuttavia, ad un certo punto, non quadra il conto per qualcheduno: non processo i giovanissimi, se mai quel sistema fragile, anche politico, che non sorregge le loro spalle. Non c’è da meravigliarsi se delle nebulose indistinte vadano ad infittire il percorso di ciascheduno, senza dimenticare che questi smarrimenti sono in parte dovuti ai cattivi esempi di noi adulti o alla rinuncia degli adulti ad educare. Sul piatto della bilancia c’è financo questo e non è un peso leggero per chi ha scienza e coscienza. Intercettare i bisogni dei ragazzi è la rifondazione sociale cui siamo chiamati: la giovinezza di ogni realtà cittadina ha la loro stessa energia, non dimentichiamocelo! Questa è la via d’uscita: a proposito, per una strana combinazione di segni grafici, “uscita” è anche l’anagramma di Acutis, il giovane Carlo, deceduto a soli quindici anni, beatificato il 10 ottobre scorso nella basilica assisana della Spoliazione. A quanti si è mostrato nelle incorrotte spoglie di un “garzoncello scherzoso”, perché così è stato, finché è vissuto con i suoi più cari, lascia un segno chiarissimo d’insegnamento: un volto luminoso cui va ri-volto il futuro dei nostri passi. C’è tanta strada da fare quaggiù per stare in comunione con il mondo: Il cantico delle creature del patrono d’Italia, poi, non può non scandirci la chiave d’accesso alla verità. “Serviateli”, verso trentatreesimo. Il servizio sta alla fine del componimento o meglio è il fine cui tendere l’economia dell’umanità: chi ben comincia è a metà dell’opera e Carlo non si è risparmiato per farsi vento, acqua, fuoco, terra tra le persone, solo questa considerazione mi permetto di fare, nient’altro di più! La leggerezza e l’ardore della sua giovanissima esistenza hanno alimentato una sorgente su non pochi percorsi acciottolati: l’utile occasione per stare ai margini della precarietà e gettare le reti di una solidale solidità. Tutto questo in un giovane virgulto che guarda alla rifioritura di ogni tempo che verrà con quel sorriso che media e tabloid d’ogni genere fanno ininterrottamente piovere come manna dal cielo: “siate fiori, speranze di frutto maturo”, ad ogni età, proprio così! Per fare il grano si parte da un buon granello: evidentemente c’era bisogno di un teen-ager per rammemorarci che ogni nostra città deve essere una piccola Assisi eucaristica capace di buon raccolto. Anche Lamezia Terme ha bisogno della sua testimonianza: nel nostro piccolo,
accanto ai piccoli, può dischiudersi l’illimitato, perché no!? Per questa sua straordinarietà sentirsene figli moltiplica una sana genitorialità, comunque si viva, e dovunque si eserciti, per il bene del prossimo, sempre: ap-prossimarsi a Carlo è spingersi al noi, in prima persona ma al plurale, questo è il suo più fedele testamento!
F.P.