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Carlo Celadon, il più lungo sequestro della storia della ‘ndrangheta

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Sequestro Carlo Celadon

831 giorni nascosto sull’Aspromonte. Ripercorriamo l’inumana odissea di Carlo Celadon. Il suo è stato il sequestro più lungo della storia della ‘ndrangheta.

 

È il 25 gennaio 1988 e l’Italia vive ancora la stagione calda dei sequestri cominciata negli anni Settanta. Ci avviciniamo all’ultimo decennio del secolo, ma proseguono senza sosta i rapimenti messi in atto in tutta Italia (quasi 500 tra la metà degli anni 70 e gli 80) dalla ‘ndrangheta e da altre organizzazioni malavitose note sotto il titolo di Anonima sequestri – tra le più conosciute la famigerata Anonima Sarda.
Quel 25 gennaio 1988 è un lunedì, e in una villa di Arzignano, in provincia di Vicenza, abita la famiglia Celadon. Quella dei Celadon è una famiglia benestante; il capofamiglia Candido è un ricco industriale. Una famiglia di certo ben attenta all’ondata di sequestri che imperversa in Italia.

L’aggressione avviene in serata: pare di essere in una scena di Arancia meccanica, il capolavoro di Stanley Kubrick. Quattro delinquenti irrompono nell’abitazione; due armati tengono a bada le vittime, mentre altri due li legano con corda e bende. Poi gli aggressori prendono Carlo, diciott’anni, figlio di Candido, lo ficcano nel bagagliaio di un’auto e scappano.
Così comincia il sequestro Celadon, quello che rimarrà il più lungo della storia della ‘ndrangheta.

Comincia la trattativa per liberare Carlo Celadon

Il procuratore capo della Procura di Vicenza Ferdinando Canilli, già alle prese con altri cinque sequestri negli anni precedenti, capisce subito che si tratta di una banda calabrese. Decide per l’isolamento della famiglia del sequestrato cui vengono congelati i beni (provvedimento divenuto legge dal 1991) per impedire ogni richiesta di riscatto, secondo il modus operandi dei malavitosi.
La richiesta infatti arriva pochi giorni dopo: 4 miliardi, tanto chiedono gli anonimi sequestratori per liberare il giovane Carlo che effettivamente, e si saprà dopo, si trova già nascosto sull’Aspromonte. La magistratura non risponde alla richiesta, mentre le ricerche proseguono a tappeto.

Dall’altra parte i rapinatori capiscono l’antifona e si chiudono in un lungo silenzio che non fa presagire nulla di buono. A luglio, finalmente, arriva una foto di Carlo: è incatenato, ma vivo.
I Celadon non ne possono più e, aggirando le direttive delle forze dell’ordine, affidano le loro speranze a un avvocato di origini calabresi che a suo dire saprebbe come entrare in contatto con i sequestratori. L’avvocato è un figuro poco rassicurante, ma la voglia di riabbracciare Carlo è più forte. Nel mese di ottobre l’avvocato scende a Reggio Calabria con una somma di tre miliardi fornita dal signor Candido Celadon. L’enorme somma è pronta per essere consegnata alla banda che ha rapito Carlo. Ma non accade nulla, nessuno si fa vivo.

Sul finire dello stesso mese di ottobre sono i fratelli di Carlo, dopo private ricerche, a incontrarsi con alcuni esponenti della malavita calabrese ai quali consegnano ben cinque miliardi. Riscatto pagato, ma Carlo non viene liberato. Subito dopo il pagamento le forze dell’ordine riescono però ad arrestare quattro persone implicate nel rapimento del giovane.
Le indagini, seppur lentamente, avanzano. Nel frattempo arriva una nuova richiesta a Candido Celadon: se l’industriale veneto vuol rivedere il figlio deve sborsare altri cinque miliardi. I contatti continuano mentre si arriva al 1990: Carlo Celadon è sotto sequestro chissà dove da due anni.

Sequestro Carlo Celadon

La liberazione

È trascorso troppo tempo e i rapinatori sentono ormai il fiato sul collo di polizia e carabinieri.
Decidono perciò di liberare Carlo in cambio di un’ultima consegna di due miliardi. Il signor Celadon accetta e la notte del 2 maggio 1990 consegna a mano sui monti di Piminoro dell’Aspromonte la consistente ultima quota.

Il 4 maggio, dopo 831 giorni di sequestro, Carlo Celadon viene liberato su una stradina dell’Aspromonte, a Piano dello Zillastro, tra i comuni di Oppido Mamertina e Platì.
Il ragazzo viene ritrovato la mattina successiva. È irriconoscibile, con una lunga barba, senza forze e con le ossa che spingono contro la carne. Ha perso trenta chili da quel gennaio 1988. Oltre alla violenza fisica Carlo Celadon subì anche della pesante violenza psicologica: i carcerieri, durante quegli infiniti 831 giorni passati in catene, lo convinsero che si trovava ancora lì perché il padre non aveva intenzione di pagare per la sua liberazione.

Antonio Pagliuso

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