Casa dolce casa: tra curatori e critici di ‘piccole gallerie domestiche’
2 min di letturaViviamo ai margini di un’estetica “mediatica”, che permea la vita, la società e la cultura dei giorni nostri
Si è direttori, nel proprio piccolo, di un museo domestico targato e gabellato buon gusto. È un semplice mercato delle pulci, sempre in continua stratificazione per accumulo compulsivo.
Già, come le pulci! Occhi piccolissimi, e privi di ali! In un volo impossibilitante verso dimensioni più profonde, ci ancoriamo ad una miopia ancor più invasiva: il rischio è di non coltivare le idee (e la radice id-è propria del visus), e di negarsi un’Est-etica, che è vero Valore di Bellezze.
Nella società delle apparenze, delle apparizioni, delle rappresentazioni, delle finzioni la funzione matematica sembra la medesima: quella della Moda, di reminiscenza leopardiana. È un numero, quello del sedicente stile, che dà i numeri, senza darli: un’imbalsamazione a peso zero. L’uniforme di senso, invece, è la riappropriazione del Bello, che è dimora delle arti.
Ed in un museo a cielo aperto, quale è la nostra Italia, lo sguardo di bellezza può trattenere in consapevolezza quanto s’osserva. Ripartire dagli sguardi, interfacciarsi con le radici, mescolarsi con le storie, nel contatto con l’uomo, può restituire al volto del territorio quei tratti corrugati di sincera amenità, che ha tessuto le letterature.
Sincera, sine cera: senza maschera e travestitismi, profondamente vera! Casa dolce casa, ma nei limiti: il vero numero civico, per ognuno di noi, è on the road, tra musei e monumenti che dicono di noi, più di quanto possiamo immaginare.
L’antico presente è sempre attuale, mentre le piccole gallerie domestiche non sempre aprono una finestra ad un mondo più vasto. E qui, la scuola, nella pasqua della sua esistenza, fa ancora la differenza: fa dirigere al largo, nell’incanto di una sana e consapevole restituzione alle cose.
Prof. Francesco Polopoli