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CasaRossa40: “Il decreto fascista del «Compagno» Minniti”

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I controlli di Villa San Giovanni

Comunicato stampa:

In questi giorni tutti gli snodi strategici di Villa San Giovanni (RC) sono diventati dei veri e propri posti di frontiera che impediscono, palesemente, non soltanto il diritto a manifestare il proprio dissenso sociale ma, molto più banalmente, il diritto alla mobilità e alla libera circolazione delle persone.
Il controllo è riservato non soltanto a chi fermato risulta un soggetto con “precedenti” e\o segnalazioni di tipo politico, ma anche a tutte le persone che anche vagamente hanno qualcosa che possa ricondurli a “soggetti sovversivi” (kefiah, capelli lunghi, orecchini, felpa, tatuaggi, piercing, ecc.).

È quanto successo ad un nostro amico e compagno lo scorso 13 maggio, fermato – mentre si recava in Sicilia per lavoro – alla stazione ferroviaria di Villa San Giovanni (RC) ed al quale è stato riservato un “trattamento davvero speciale”: presa delle impronte digitali, schedatura fotografica, fermo di 5 ore in questura, perquisizione corporale completa (con tanto di mutande tirate giù) sequestro temporanea del cellulare con prelievo coatto dei dati telefonici e, per finire, un bel foglio di via che gli impedirà di metter piede a Villa San Giovanni per i prossimi tre anni.

Una parte della stampa locale e regionale ha ripreso la notizia riportando “fedelmente” – è il caso di dirlo – il dispaccio della questura senza nessun lavoro di verifica e riscontro delle informazioni prima della pubblicazione. Termini come “terrorista” e “bombarolo” si sono veramente sprecati!

Ma vediamo cos’è un foglio di via.

È un vecchio e fastidioso strumento contemplato nel cosiddetto Codice Rocco, strumento usato dalla polizia, per vigilare sull’attività politica di sospetti sovversivi durante il periodo fascista ed oggi utilizzato non soltanto a Villa San Giovanni ma anche a Roma durante la scorsa manifestazione del 25 marzo e a Bari, per il G7 sulla Finanza che s’è svolto lo scorso week end.

L’Osservatorio sulla Repressione pochi giorni addietro faceva notare che: “Dall’unità d’Italia in poi il tema dell’emergenza è stato usato come leva per consentire l’entrata nell’ordinamento giuridico di strumenti repressivi ispirati alla “logica del sospetto” e basati unicamente sul requisito della pericolosità sociale, ossia sull’identificazione di un individuo come potenziale autore di reato in forza di meri elementi indiziari e quindi di standard probatori inferiori a quelli che consentono di affermare la responsabilità penale. Alle misure previste dal diritto penale classico sono stati così affiancati congegni che consentono una gestione poliziesca dell’ordine pubblico.
Si tratta di una deriva normativa che viola la relazione tra autorità e individuo posta dalla Carta Costituzionale, di un surrogato della giustizia penale che consente di punire chi non sarebbe altrimenti punibile per mancanza delle prove di reità”.

Da questo punto di vista il decreto Minniti scavalca a destra il testo Maroni ed affida al Partito Democratico il ruolo di paladino di una politica securitaria che, con l’intento ufficiale di colpire il cosiddetto terrorismo, in realtà aggredisce e reprime ogni forma di dissenso politico e sociale.

Contro la morsa della repressione continueremo il nostro lavoro militante in città come altrove perché la repressione delle lotte si nutre strategicamente anche del silenzio, a cui bisogna rispondere attraversando i nostri territori ed i nostri quartieri con pratiche sociali ampie e partecipate e senza indietreggiare di un solo metro.

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