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Il caso Tro(t)ta: il Carroccio non lo sa!

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Trotula De Ruggiero

Trotula De Ruggiero

“Chel pirla lì l’è minga un delfin, ma l’è una trota”: detto di Renzo, figlio di Bossi, ancora al ripasso di Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne; figuriamoci, adesso, se dobbiamo spiegargli che Trot(t)a non è lui ma una lei.

Trotula De Ruggiero
Trotula De Ruggiero

Pippo non lo sa, dovrebbe cantargli, dietro dietro, Rita Pavone, a mo’ di scossone, ma la cantante tutto sprint è impegnata (lontana) in un tour e lui, solo soletto, è ora tutto impappinato.
Immagino la sua espressione corrugarsi a domanda diretta, dopo aver chiesto alla madre sicula: “ Viva la pa-pa-pappa col po-po-po-po-po-po-pomodor”, e poco dopo, “Ma sono io Trota, lo sanno tutti, dalle Alpi alla Pianura Padana: perché questi dovrebbero darmi del culatton, ora!? Che storia è questa!?”.
Ora, si Salvini chi può!
Comunque, bando alle ciance, Il Carroccio qui è stato chiamato in causa inutilmente, sic et simpliciter per farne una battuta in apertura, anche perché il personaggio in questione, leghista non è, né tantomeno un polentone: lei, infatti, è Trotula De Ruggiero (1050-1097) nel suo diminutivo terrone;
ma che piaccia o meno, è però la più nota tra le mulieres Salernitanae della Scuola medica di Salerno: un’Università d’eccellenza, o all’avanguardia, diremmo oggi, sita in quel Mezzogiorno impaludato, che non risolleviamo più, e che sprofonda di anno in anno in un oscurantismo di ritorno, che nulla ha a che vedere con il Rinascimento medievale di allora.
Per la cronaca, tuttavia, Francesco Boltri la chiama anche Trottula Mondezza: ora, escludendo il secondo per principio, perché già mi suscita antipatia il Mondella di Lucia, che a volte assimilo per ilare consonanza ai mega-rifiuti partenopei dei giorni nostri, rimetto in circolo il primo, ma solo a paradigma di una condizione femminile, ancora da incoraggiare (perché non trotta bene, anzi è una trottola d’incertezze, in mezzo alle frottole della politica: “Il trottolino amoroso”, tra l’altro, è la storia simbolica di una Mietta meteora e di un Minghi sotto le continue luci dei riflettori, modello di una cultura femminile che fatica a stare alla pari; perché, ad esempio, e me ne scuso per lo sconfinamento, non abbiamo ancora una presidentessa?
I conti non tornano con le quote rose, fateci caso! Fa al caos nostro, se mai, come sempre, all’italiana!).
Continuando il nostro identikit storico, scusandomi per aver tergiversato un po’, Trotula visse e operò al tempo dell’ultimo principe longobardo di Salerno, un tal Gisulfo II, probabilmente prima dell’arrivo in città del medico Costantino l’Africano; pare abbia sposato Giovanni Plateario, da cui ebbe due figli, Giovanni il Giovane e Matteo, che proseguirono l’attività familiare con il soprannome di Magistri Platearii.
Un medico con la gonna, alquanto insolito per quei tempi, quindi: dagli scritti che ci sono giunti ricaviamo, per quegli anni, e sono passati dieci secoli, mi permetto di far rilevare, che aveva una concezione della medicina assai moderna.
Effettivamente si basava su un’attentissima osservazione e su un’approfondita visita dei suoi pazienti prima di formulare una diagnosi; credeva nell’importanza della prevenzione per la cura delle malattie e riteneva che una sana alimentazione, una buona dose di attività fisica e la cura dell’igiene personale fossero i princìpi salutari per vivere in salute.
Madre dell’ostetricia e della ginecologia, se accettiamo per suo  il De mulierum passionibus ante in et post partum”, nel mezzo di un dibattito che fa a gara di nomi per la paternità letteraria, non di grande rilievo, mi va di aggiungere!
Ad ogni modo colpisce di lei il vezzo della vanità che la fa assimilare, per la stessa caratteristica, a Rita Levi Montalcini: non fa specie trovare lo stesso gusto estetico, che a volte, come in questo brano, ha tutta la presentazione di una consulenza d’immagine, precorrendo in tutto ciò i tempi e gli atti  di una quotidiana modernità.
Andiamo al capitolo 10° del  De ornatu, presentato sotto il titolo De fortiori tinctura nobilium Sarascenarum:

125 Si qua velit rufos et spissos esse capillos, ista sint loti lexiva sepe capilli: rasure buxi vel cum foliis sociatam iunge celidoniam; sit eis agrimonia iuncta cocta diu; post hoc si sumitur olla minutim

130 in fundo penetrata, super quam pannus adherens candidus, area  cui  sternitur  una  cimini,  straminis  altera  sit,  quod  prestent ordea triti, tertia rasure buxi sit vel foliorum ypia (sic) det quartam, det eis celidonia quintam;

135 straminis hinc una subtilis fiat arene, inde liquiricie de pulvere, sit cinis inde fraxinus aut vitis, quam det bisterve quaterve; hec coletur aqua talem predicta per ollam. Ex qua lexiva perloti sepe capilli

140 involvantur ita donec siccatio fiat. Tempore sicque brevi mire fient speciosi. Peotere cum sit opus, spargatur pulvis et iste subtilis: gariofilia, nux, rosa sicca, galanga, cum costo, pipere, cardamomo, cinamomo;

145 his sed aqua rosea mixta lotisque capillis pectinet inde caput, pecten madefiat ipsum; addas si muscum,  magis  istud erit pretiosum.

Trad. rid. di Bertini : “Se  una  donna  vuole  avere  i  capelli  rossi  e  folti,  se  li  lavi spesso con questa lavanda: aggiunga della celidonia a trucioli e foglie di bosso; metta ancora agrimonia cotta a lungo; dopo di che bisogna prendere una pentola  dal  fondo  minutamente  bucherellato, con sopra, ben aderente, un panno bianco su cui si dispone uno strato di cumino, un altro di paglia tritata con prevalenza d’orzo, un terzo di trucioli o foglie di bosso; la quarta fornisca l’ipia, la quinta la celidonia; quindi si disponga un filtro duplice, triplice o quadruplice, costituito da sabbia fine, polvere di liquirizia, cenere di frassino o di vite.
L’acqua va colata attraverso la pentola suddetta e i capelli, lavati spesso con questa lavanda, vanno avvolti finché siano asciutti.
Così, in breve tempo, diventeranno  meravigliosamente  belli.  Quando  è  il  momento  di pettinarli, vanno sparsi sopra tutti questi elementi, ridotti in polvere fine: chiodi di garofano, noce moscata, rosa essiccata, galanga, e ancora costo, pepe, cardamomo, cannella.
Dopo aver lavato la capigliatura con questi ingredienti, aggiungendo acqua di rose, si pettini avendo cura di inumidire anche il pettine. Se si aggiunge  muschio, se ne acquisterà in pregio”.
Sicuramente, d’ora innanzi, ogni parrucchiera ne farà un’icona nel proprio salone di bellezza: Questione di aspetto ma anche di attesa per le rivendicazioni piene cui è chiamata, oltre alle ordinarie file del parrucco, sia inteso!
Maschere e trattamenti, sì, ma a diritto senza rovesci!

Prof. Francesco Polopoli

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