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Catanzaro. Lettera aperta associazione I Quartieri alla Fondazione Betania

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Catanzaro. Lettera aperta associazione I Quartieri alla Fondazione Betania

Catanzaro. Lettera aperta associazione I Quartieri alla Fondazione Betania

Alfredo Serrao, presidente dell’associazione I Quartieri, scrive una lettera aperta al presidente della Fondazione Betania sui problemi che stanno interessando la stessa in questo periodo

Ecco la lettera:

Carissimo don Biagio,

da giorni assistiamo a questa “querelle” che interessa Fondazione Betania in un rapporto anomalo di relazioni sindacali con le componenti riconosciute. Una contrapposizione che non comprendiamo, noi che siamo l’altra parte della barricata, quella dei parenti dei Vostri Ospiti, la ragione unica che rappresentava ieri la missione di Fondazione Betania, mentre oggi è il “core business” dell’azienda Fondazione.

E si, caro don Biagio Amato, come giustamente Lei evidenzia, le 800 strutture calabresi accreditate che incrociano la malattia nel settore socio-assistenziale e socio-sanitario sono una realtà.

Noi vogliamo aggiungere che per la Calabria sono come la Fiat, visto che la sanità è l’unico settore che ancora incrocia gli investimenti e quindi anche un profitto economico.

Ma, ci consenta caro don Biagio ad oggi  noi non troviamo alcuno che possa solo lontanamente mutuare il carisma di Valletta o di Marchionne, se parliamo di aziendalismo, un qualcosa che comunque stride con il valore salute e sanità.

E’ brutto usare un vocabolo che accredita il metodo del “fordismo” – quello della catena di montaggio –  che in sanità trasforma tutto in un algoritmo ed i pazienti in ingranaggi inanimati di una logica del denaro, ma così è…almeno in tantissime delle strutture che sono un (non) patrimonio difendibile, francamente neanche da Lei.

Soprattutto se noi – che siamo vittime ignote – come i tanti pazienti senza voce, viviamo una realtà quotidiana dove le altre vittime sono i tanti operatori sanitari che di fatto mandano avanti le strutture, come Fondazione Betania. Quelli che hanno diritto alla certezza del salario, una certezza che se per loro è sinonimo di libertà, per noi è e resta valore di famiglia. Una famiglia che per quanto imperfetta si regge sul lavoro dei tanti e non può più essere derubricata in una formula di scontro sindacale superato, che non serve a nessuno, che non assolve nessuno e che non premia nessuno.

“Nessuno” è il valore di questa specie di contrapposizione, le cui vittime programmate e premiate sono e restano i Vostri pazienti, i Nostri pazienti (Vostri in senso generale come sistema). Quel sistema, come anche Lei don Biagio ha avuto modo di sottolineare, deve avere capacità […]di affrontare le problematiche nuove con strumenti risorse nuove. E per fare questo ci vogliono uomini e donne, funzionari e dirigenti, consiglieri regionali ed assessori “nuovi” […] un sistema che la politica ha degenerato portandolo al default che da annunciato è diventato reale.

Come dicevamo “nessuno” è il valore della risposta ai suoi appelli.

La denuncia di una situazione grave che non riuscirà a dare, fra poco tempo, risposte a quel bisogno sociale che nasce dall’invecchiamento della popolazione e che non può essere “abbandonato” ad un esercito di badanti imperfette, la cui importazione non è una risposta né medica, né sociale.

Tanto meno può portare noi all’accettazione di un degrado sistemico che sta ritornando ad essere concreto – già in alcune strutture oggi – che ci restituisce gli “ospizi” di vecchia memoria, un qualcosa che avevamo cancellato…

Siamo allo stato di fuorilegge come sistema regionale, perché di fatto chi governa consuma dei reati che vanno dalla negazione di un diritto costituzionale, il diritto alla salute e, scientificamente ne pone altri in cantiere, quelli che Lei mette in relazione affermando […] diecimila famiglie che dovranno accogliere di nuovo nelle loro case i congiunti ospiti di tali strutture e ciò a causa della totale impossibilità delle Strutture a garantire la continuità dei servizi […]

Questo è il reato più grave! Esporre i pazienti a morte certa, mentre la politica regionale e la burocrazia della sanità intessono il reato di interruzione di pubblico servizio e quello di interruzione di continuità assistenziale.

E’ assolutamente vero quando Lei dice che le strutture per legge […] non possono dimettere le persone ad esse affidate e quindi sono obbligate a garantire la continuità assistenziale […], per come appare credibile il nostro dire che nessuno – volutamente e strumentalmente – vuole dare voce alla Sua denuncia sociale, con la stessa intensità come nessuno vuole prestare ascolto a quanto Lei ha sostenuto.

A noi tutto questo appare pericoloso. Tanto che dietro questo “muro di gomma” fatto di Autorità sorde, si palesa e diventa verità la Sua affermazione […] nessuno si porrà la domanda su come le Strutture potranno assicurare la vita e la salute delle migliaia di persone ad esse affidate formalmente proprio dagli enti pubblici che non trovano una posizione comune […]

Qui si concretizza la pericolosità che insieme ai reati già evidenziati, che trovano i mandanti nei vertici politici regionali e nella pletora burocratica che governa le Asp, il luogo dove, forse, alcune procedure sono piegate ad interessi di parte diffusi e presenti anche nell’ambito imprenditoriale, come anche Lei ha avuto modo di rappresentare quando parla di organizzazione del sistema welfare […] e ancora assistiamo a scontri, balletti, ping-pong, incompetenze, interessi privati […]

Il quadro che si delinea, che oggi ha perso la cortina dietro la quale, negli anni si sono nascosti in tanti, ci consegna un sistema che consuma reati, come quello di una presunta “strage” di pazienti.

Proprio perché nessuno, proprio nessuno si è posto il problema della esistenza delle Strutture, nel momento in cui la mancanza di risorse, oltre che la certezza di un sistema che sappia mettere a regime i fondi di bilancio, per garantire la vita di quella popolazione residente nelle strutture dedicate, che proprio per le loro patologie non possono trovare diversa accoglienza, in un sistema sanitario regionale che i tanti hanno volutamente congelato all’anno zero.

Siamo convinti quanto Lei che la risposta non può certamente passare sempre dalla denuncia o, come Lei ha detto […] non è più tempo che sia la magistratura a dare risposte umane e umanizzanti alle fasce deboli […].

Ma, di fronte al silenzio, alla certezza di essere ormai “nessuno”, cosa resta al cittadino magari malato o al parente che si trova a dover gestire, per una colpa riconosciuta, lo sfascio di un sistema di garanzia?  Gli resta, ci resta solo quello di chiedere soccorso all’Autorità Giudiziaria ed è quello che noi, come parenti faremo, ancora prima che la Sua previsione, Dio non voglia, si concretizzerà in certezza.

D’altronde se le certezze sono evaporate, quelle della tutela della salute, quella della certezza del reddito per i lavoratori, quella della rappresentanza sindacale, quella della qualità sanitaria in strutture accreditate, quella della trasparenza degli atti sanitari e quella della responsabilità politica di chi governa, che anche Lei ha messo in evidenza, ci chiediamo allora cosa ci resta? Ci resta forse una procedura di “eutanasia collettiva”, che ci pone anche a noi in una posizione di illegalità. Ma, perso per perso, atteso che l’illegalità è metodo nella sanità calabra, ci consegniamo a questo metodo e, lo riconosciamo come punto di civiltà (?)

Lei caro don Biagio, sa quanto noi che non è questa la civiltà che ha rispetto della malattia, che svolge una funzione sociale. Lei lo conosce per storia, per aver reso grande una realtà catanzarese, quella di Fondazione Betania, forse l’unica realtà calabrese che può opporre alla bugia una credibilità di ordine morale, quel valore che spinge anche noi a non accettare una semplificazione che ha il sapore del crimine organizzato.

Lei sa bene che non tutti e non tanti possono parlare con la gravità delle parole che Lei può usare. Lei lo può fare in quanto rappresenta la parte buona della vicenda sanità calabrese anche grazie a tutti i suoi collaboratori, a differenza di tanti altri, che forse si nascondono dietro l’immagine di Fondazione, che non hanno nulla da ostentare né in termini di morale, né in termini di gradimento civico, quello dei tanti parenti che hanno incrociato Strutture e malattia.

Non basta in quest’ambito ostentare uno stemma araldico neanche originale, se non si ha il coraggio di metterci la faccia, senza nascondersi dietro qualche associazione di categoria. Non serve tutto questo, perché alimenta e ripropone sotto altre forme – le stesse rivisitate – tutto il marcio che governa la sanità e quanti “dicono” di operare per il bene della comunità (?)

Non serve perché non è credibile, soprattutto quando la credibilità passa attraverso un criterio di libertà e trasparenza, che è rappresentato anche dai cosiddetti Sindacati, che esistono in Fondazione e ne sono, per noi elemento di democrazia, di confronto e di garanzia, quella che purtroppo oltre il Suo cancello non si incrocia da nessuna altra parte. Lì la trasparenza e la condivisione sono soltanto un utopia, una cosa superflua come la voce non tanto dei malati, ma anche dei parenti.

E’ su questa voce – cui anche la nostra associazione da ospitalità – Lei caro don Biagio, può costruire un modo diverso di lotta e di confronto con quanti hanno dilapidato e stanno condannando un sistema, buono in alcune quote, ma soprattutto la vita di tanti innocenti, invisibili perché volutamente resi tali.

La stessa invisibilità che anche Lei ha dovuto misurare direttamente, quando tutti tacciono ed hanno taciuto, quando questa città di Catanzaro tace o scimmiotta un presunto interessamento alla vicenda Fondazione, che è solo e soltanto la punta dell’iceberg – quello presentabile – di un male più diffuso, che forse da domani richiederà non tanto la solita elemosina, ma un processo stabile e consolidato che passi pure da un rispetto – dovuto – per l’altra parte della Luna…quello che noi in quanto parenti siamo.

Non è un’altra faccia, ma la stessa, perché ci viviamo insieme, quella dei tanti lavoratori che non devono lottare con un sit-in per avere la dignità che spetta loro, che non devono pensare al licenziamento/dimissioni solo perché la “disoccupazione” diventa sostentamento economico certo. Quelli che hanno la stessa dignità dei loro colleghi in sanità pubblica e che hanno il diritto, quanto noi di conoscere il loro futuro.

Quel futuro che è carico di incognite, quelle che passano anche attraverso la Curia cittadina, visto il silenzio “rumoroso” dell’Arcivescovo di Catanzaro, non fosse altro per essere il maggiore azionista di Fondazione. Lo stesso silenzio che governa la politica locale, dove il Consiglio Comunale della nostra città disconosce il problema, per come disconosce il problema malattia, senza dover parlare di accoglienza quella friendly che qualifica una comunità, non solo dal punto di vista sociale, ma anche urbano.

Queste sono utopie, le stesse che non hanno avuto un parto in Calabria, da sempre ferma ad un palo, incapace di recepire le direttive nazionali, le possibilità di progresso e di mitigazione della malattia attraverso la formazione e l’innovazione. Questo costa, abbassa i profitti e conviene a tutti, speriamo veramente a Lei di no, che le Strutture continuino ad essere dei pollai indistinti e non già strutture specializzate.

Per come conviene a qualcuno alimentare questa crisi del sistema, tanto da paventare nuove scalate di soggetti economici estranei alla Calabria, l’ha detto e non detto l’on. Wanda Ferro, motivo per cui l’orizzonte appare più cupo.

Quel colore che la storia locale conosce nella vicenda Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania e che, per il bene dei tanti e di quella moralità che resta patrimonio indistinto di Fondazione, non vorremmo si riproponesse nel silenzio di tutti!

Cordialmente.

         Alfredo Serrao

Presidente “I QUARTIERI”

 

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